Nel covo di Zagaria cento segreti e mille veleni

Nel covo di Zagaria cento segreti e mille veleni
Il dedalo è contorto e la verità resta ancora un’immagine sfocata che si ribalta di continuo, quasi fosse luce proiettata da un prisma che la trasforma in ombre spettrali. A...

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Il dedalo è contorto e la verità resta ancora un’immagine sfocata che si ribalta di continuo, quasi fosse luce proiettata da un prisma che la trasforma in ombre spettrali. A ventiquattr’ore dalla sua audizione in Commissione antimafia, le parole del procuratore di Napoli Giovanni Colangelo sulla cattura del superlatitante Michele Zagaria e sul mistero della pen drive di un computer sparita dal suo bunker di via Mascagni, a Casapesenna, continuano a porre interrogativi e dubbi inquietanti.




Domande che vanno anche al di là degli «omissis» e delle parti secretate di un verbale che scotta. Davanti a questo scenario la sensazione è che le indagini siano prossime a una svolta. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia che cercano di dare un nome e un volto all’appartenente alla Polizia di Stato che si sarebbe impossessato di quella pennetta elettronica contenente gli inconfessabili misteri del clan dei Casalesi seguono una pista precisa. Lo fanno partendo da tre punti fermi, incontrovertibili.



Il primo: alle sei del mattino del sette dicembre 2011 nel covo segreto il «padrino» aveva un personal computer acceso e collegato alla rete; in quel pc - come ha spiegato una perizia d’ufficio - era inserita una pen drive, poi scomparsa. Secondo: l’irruzione della polizia in quel bunker coincise con l’ingresso di almeno quattro-cinque agenti, ai quali poco dopo si unì un gran numero di altri soggetti - tra dirigenti e funzionari delle Questure di Napoli e Caserta: e - sospettano gli inquirenti - fu proprio tra il primo e il secondo momento, in una fase di comprensibile trambusto generale, che qualcuno potrebbe aver sottratto quella chiavetta Usb.



Terzo punto: della pen drive rubata e poi «venduta» a «quelli di Casapesenna» la Procura viene a sapere per un puro caso: grazie alla conversazione intercettata grazie a una cimice piazzata nell’auto di due indagati; uno dei quali parla riferendo di aver saputo da terze persone che per quello scambio al misterioso poliziotto sarebbero stati pagati 50mila euro.



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Il Mattino