I dolori e i ricordi della Siria prendono vita in danza in uno spettacolo commuovente per la sezione Danza del Napoli Teatro Festival Italia diretto per il terzo anno da...
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Fondata nel maggio 2018, il Collectif Nafass - in scena i danzatori Samer Al Kurdi, Alaaeddin Baker, Maher Abdul Moatyunisce - riunisce soprattutto amici: artisti che hanno condiviso nelle loro vite l’esilio e la perdita. Di radici, di legami, di illusioni, di vite care. Amici e artisti dai percorsi e dalle storie diversi, che tuttavia si ritrovano e si rispecchiano, nella vita e sulla scena, accomunati dall’uso di due linguaggi: l’arabo e la danza.
Insieme, i danzatori siro-palestinesi guidati da Nidal Abdo provano a portare alla luce e a comprendere la complessità del dramma siriano. Il lavoro parte da alcune domande fondamentali per chi proviene da un Paese in guerra: perché io, perché noi, perché l’Uomo? Queste interrogativi hanno spinto il Collectif Nafass a creare «Et si demain», uno spettacolo di danza contemporanea che indaga ricordi, privazioni, dolori, emozioni, e lo fa usando il linguaggio del corpo, perché la danza è una lingua che non può mentire, e che dell’uomo mette a nudo l’essenza più profonda. La danza diventa così, da linguaggio del corpo, soprattutto linguaggio dell’anima.
«Sono sempre là anche senza essere presente – ha scritto il coreografo Nidal Abdo, artista rifugiato che dal 2016 vive in Francia – 'Là' per me è la Siria, il Paese nel quale sono cresciuto, il Paese che mi ha dato una cultura, delle aspirazioni, dei gusti musicali, dei compagni di vita. Un Paese straziato da sei anni che, come la maggior parte di noi, è ormai alla deriva. Ho cercato di imparare a dimenticare concentrandomi unicamente sul presente. Quando ho parlato della mia intenzione di scrivere 'Et si demain' mi ha sorpreso scoprire che altre persone erano pronte a parteciparvi. Più che una nuova creazione, questo lavoro sarà una catarsi; la nostra maniera di esprimere ciò che ci fa soffrire, ciò di cui non vogliamo parlare perché troppo intimo, troppo sensibile o semplicemente perché non ci sono le parole per farlo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino