Francesco Iodice, personale a Napoli con la vita-giocattolo

Il fotografo-figlio d’arte espone a Casa di Marino

Capri Diefenbach Chronicles di Francesco Iodice
Oltre 30 anni fa, in «Tubinga» (l’abum era «Hegel», con testi di Pasquale Panella), Lucio Battisti cantava: “Nelle piramidi continuamente/...

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Oltre 30 anni fa, in «Tubinga» (l’abum era «Hegel», con testi di Pasquale Panella), Lucio Battisti cantava: “Nelle piramidi continuamente/ scatta l’otturatore». Ed è proprio una piramide uno dei soggetti rappresentati nella nuova mostra del fotografo Francesco Jodice, «Giocattoli», da domani al 26 luglio a Casa di Marino, in via Monte di Dio. «Una piramide è quel prodigio di ingegneria sviluppato migliaia di anni fa da una civiltà raffinatissima o l’oggetto banalizzato dai miliardi di scatti del turismo di massa?», si domanda il figlio del grande Mimmo. «E, in generale, la realtà è l’intreccio fittissimo di dinamiche delicate e profonde o la loro versione leggera, di superficie, rassicurante? Forse il mondo, che ha abdicato alla complessità, ormai è pieno di soli giocattoli».

Trastulli, balocchi, gingilli di una società chiamata a sfide estreme che però nel frattempo si perde su un social o dietro all’ennesimo gadget. Jodice ha trasformato questa ricerca in 8 fotografie e 7 ritagli di giornale, partendo da una frase da «Computer God» dei Black Sabbath: «Take a look at the toys around you... the toys are real», ovvero «dai un’occhiata ai giocattoli che hai intorno... sono reali».

Dice l’artista: «Abbiamo rinunciato a una osservazione lenta delle cose e del reale in favore di una lettura moderata per poter continuare ad esser felici. L’irricevibile complessità di ciò che accade intorno ci porta a un approccio di superficie che attenua il senso di sofferenza che comporterebbe l’immane cambiamento che viviamo».

Per meglio rappresentare la sua idea ha scattato foto varie, alcune immediatamente riconducibili al titolo dell’esposizione, altre piuttosto distanti concettualmente; altre ancora apparentemente diverse tra loro eppure legate da una relazione sotterranea: come una vecchia confezione di figurine di dinosauri in cui, in certi punti, manca l’immagine ma resta la sagoma; fa il pari con dei fogli di carta di riso applicati sulla pittura degli intonaci della certosa di Capri durante il restauro, spiega Jodice.

Oppure un tratto di bosco, sempre sull’Isola azzurra, che lavora insieme alla rappresentazione di migliaia di appunti che lo stesso fotografo ha preso sul suo smartphone: sovrapposti uno sull'altro si trasformano in una chiazza verde molto simile a quella offerta dalla natura. Poi ci sono i ritagli dei quotidiani che il fotografo ha oscurato quasi completamente, isolando alcune parole o frasi che diventano un beffardo monito: «Guarda», «Bum», «è stato il maggiordomo».

«Non voglio essere moraleggiante, solo immortalare cosa stia succedendo, in parte in maniera inconscia e in parte con complicità: ovvero lo spettacolo della nostra disponibilità a dimenticare la storia e l’approfondimento e invece quanto, al contempo, ci abbandoniamo gioiosamente, direi anche in buona fede, all’oblio. Siamo passati dal sacrificio e dallo sforzo di comprensione a scrollare video su Tik Tok», spiega Jodice.

La mostra corrisponde all’inizio di una nuova fase della ricerca del fotografo. Se fino ad adesso si è concentrato su progetti di lunga durata come «West» e «What we want» che hanno richiesto anni di studio e produzione, oggi è entrato in un periodo «se vogliamo quasi pittorico di lavoro su opere autonarrative che iniziano e si concludono, che non sono parte di un telaio narrativo ma pezzi episodici».

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Il Mattino