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«Ten Thousand Names» è il titolo della mostra di Arash Radpour, presentata pochi giorni fa allo spazio Dafna Home Gallery di Danilo Ambrosino e Anna Fresa in Santa Teresa degli Scalzi.
Vetri rossi frammentati in mille pezzi sospesi in un salone illuminato a giorno con un metafisico volume fluttuante sopra gli osservatori a forma di utero gigantesco, attorniato da una serie di disegni omologhi (associati a forme taurine e alla luna): la metafora femminile come centro dell’universo nella sua duplice essenza di creatrice e portatrice di vita, intreccio misterioso di naturalità e misticismo, di materia e inconscio, motore del mondo, dell’anima e della coscienza. Questa l’intenzione nel racconto di Radpour, che da Teheran ha vissuto e scelto l’Italia per la sua professione nella comunicazione visiva in giro per il mondo prima e per la sua espressione e missione nella rappresentazione artistica poi, decretando Napoli come sua dimora di elezione per lavorare a questo progetto dal 2014.
«La rappresentazione dell’Utero riporta al simbolo della Madre Terra che feconda e avvinghia tutti gli elementi naturali. La visione dell'utero è un immenso corpo privo di soggetto, una perfetta armonia di volumi in cui si è contenuti: il suo compito è generare, ma anche nutrire e proteggere» così la curatrice dell'esposizione Carla Travierso al singolare vernissage, durante il quale numerosi estimatori e collezionisti hanno gremito la galleria, affascinati dall’archetipica installazione: Marta Catuogno, Emanuela D’Amore, Annachiara Gravagnuolo, Guido Grillo e Daniela Vallese, Mimmi Monda e Alessandra Russo, Lucia Ausilio, Franz Cerami, Marina Improta, Francesca Frendo e Alessandro Amicarelli, Claudia Consiglio, Claudio Pellone, Donatella Saccani, Roberta Costa Buccino, Francesca Leosini, Patrizia Pignata, Mariolina Farina, Enrico Lanzillo e Anna Pelliccia. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino