Napoli, ecco la grande mostra “Joan Miró. Il linguaggio dei segni”

Napoli, ecco la grande mostra “Joan Miró. Il linguaggio dei segni”
L’attesa per ammirare le ottanta opere dell’artista catalano provenienti dalla straordinaria collezione di proprietà dello Stato portoghese in deposito alla...

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L’attesa per ammirare le ottanta opere dell’artista catalano provenienti dalla straordinaria collezione di proprietà dello Stato portoghese in deposito alla Fondazione Serralves di Porto sta per terminare: il prossimo 24 settembre sarà inaugurata al Pan Palazzo delle Arti Napoli l’esposizione più importante della stagione autunnale napoletana “Joan Miró. Il linguaggio dei segni”.


Alla luce dell’importanza del progetto, la giornata inaugurale vedrà la presenza del Ministro della Cultura portoghese, Graça Fonseca, che aprirà l’esposizione insieme al sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, e all’assessore alla cultura e al turismo di Napoli, Nino Daniele.

Le opere, inserite nel percorso espositivo curato da Robert Lubar Messeri, professore di storia dell’arte all’Institute of Fine Arts della New York University, sotto la preziosa guida di Francesca Villanti, direttore scientifico di Cor ripercorreranno più di sei decenni di attività creativa, dal 1924 al 1981, in cui Miró sviluppa un linguaggio formale che trasforma l'arte del XX secolo.

Una straordinaria opera del 1924, Ballerina, che aprirà il percorso dell’esposizione, ci permetterà di iniziare a conoscere lo straordinario talento dell’artista catalano. L’opera mostra l’inizio dell’iter che Miró ha intrapreso per arrivare al maturo linguaggio dei segni: una linea sostituisce il corpo della ballerina, un semicerchio in alto la testa ed è così che Miró avvia il processo di riduzione e semplificazione della figura.

Il percorso espositivo ci condurrà fino alle opere degli anni ‘80. In questi ultimi lavori figura e sfondo, segno, superficie e supporto sono equilibrati a tal punto che sembrano dei semplici frammenti di oggetti. La figura si fonde con il suo supporto. Ne è esempio l’opera Senza titolo del 1981 che rappresenta al meglio questa trasformazione. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino