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Nella sede dell’Ordine dei giornalisti della Campania si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del libro «“Napoli Purp Fiction” Da Mario Merola a Pino Mauro - I 10 film da vedere almeno una volta nella vita» (Stylo24 Edizioni), scritto dal giornalista Giancarlo Tommasone. A moderare l’incontro, il vicepresidente dell’Odg Campania, Mimmo Falco che ha sottolineato «l’importanza di un genere verace come la sceneggiata, che ha avuto il merito di arrivare direttamente al cuore di Napoli e dei napoletani, e che rappresenta una parte fondamentale della cultura partenopea».
Stesso concetto ribadito dal regista Carlo Luglio, che con il suo documentario, «L’ultimo Fuorilegge», ha prodotto un preciso ritratto della storia di Pino Mauro, uno dei protagonisti indiscussi, insieme al compianto Mario Merola, di alcuni dei film trattati da Tommasone nel suo volume. «Napoli Purp Fiction - ha spiegato l’autore del libro - oltre a raccontare delle pellicole di un filone che ritengo importante per la nostra cultura, vuole essere una operazione verità per un genere per anni bistrattato e al quale bisogna continuare a restituire giustizia. Un genere che ho definito proto-pulp, e che a distanza di 50 anni focalizza ancora l’attenzione dello spettatore per le tematiche trattate e il pathos che trasmette, e ispira finanche cineasti di spessore internazionale. L’invito che rivolgo anche alle nuove generazioni, è quello di scoprire e di riscoprire la valenza di questi film.»
«Il libro di Tommasone è un documento puntuale e soprattutto veritiero, di quel genere cinematografico tratto dalla sceneggiata», ha detto il maestro Pino Mauro.
Nel parterre dei relatori i giornalisti Simone Di Meo e Marcello Altamura. «Se pensiamo al politically correct esasperato ed esasperante di oggi e al pensiero unico dominante che imbriglia la cultura e influenza ogni aspetto della vita di ciascuno di noi, anche la sfera della giustizia, film come quelli raccontati e analizzati in Napoli Purp Fiction, provocherebbero scandalo e indignazione, con benpensanti e censori, che ad esempio scatterebbero in piedi nel sentire una frase come quella recitata da Pino Mauro, in “Onore e guapparia”: alla giustizia della mia gente ci penso io. Non a caso, uno che si è ispirato a questi film è Quentin Tarantino, forse il cineasta più politicamente scorretto del panorama cinematografico mondiale», ha sottolineato Di Meo. Sul ruolo che il guappo vecchio stampo ha ricoperto nelle pellicole e in alcuni contesti sociali napoletani, si è soffermato Altamura, che non ha risparmiato stoccate alle nuove produzioni e serie che affrontano il tema della malavita. «Nelle pellicole di cui racconta Tommasone, il guappo si sostituisce allo Stato, in contesti in cui lo Stato viene completamente a mancare. Il personaggio reca in sé la necessità di intervenire in alcune parti del tessuto sociale napoletano che in quegli anni - ma la cosa si ripete ai giorni nostri - venivano sistematicamente e scientemente lasciate ai margini, ed escluse anche dalla possibilità di difendersi o far valere i propri diritti. Nonostante ciò, in quei film il contraltare al guappo esisteva, con l’uomo ‘positivo’ che alla fine soccombeva davanti alla legge, messaggio che invece, per niente trasmettono, alcuni film e serie televisive prodotte negli ultimi anni».
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