Teranga, all’ex asilo Filangieri il docufilm che narra i migranti africani a Napoli

Teranga, all’ex asilo Filangieri il docufilm che narra i migranti africani a Napoli
Nella lingua wolof di Senegal e Gambia, teranga vuol dire generosità, ospitalità, rispetto. Ma Teranga è anche il nome del locale di piazza Bellini diventato...

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Nella lingua wolof di Senegal e Gambia, teranga vuol dire generosità, ospitalità, rispetto. Ma Teranga è anche il nome del locale di piazza Bellini diventato una sorta di nuova casa napoletana per tanti giovani provenienti dall’Africa in Italia alla ricerca di una vita più degna d’essere vissuta. Due di loro, i gambiani Fata e Yankuba, sono protagonisti del bel documentario intitolato proprio «Teranga – Life in the waiting room», diretto da Sophia Rose Seymour, Lou Marillier e Daisy Squires, nell’ambito di «Guardian documentaries», sezione produttiva del gruppo editoriale che fa capo al prestigioso quotidiano britannico. Interamente ambientato a Napoli, nella parte giovane e spaesata di comunità africana che ogni giorno deve fronteggiare la burocrazia della richiesta d’asilo umanitario, il film sarà distribuito on line da febbraio sulla piattaforma digitale del «The Guardian» (www.theguardian.com/documentaries), ma la proiezione in anteprima mondiale è prevista in città, sabato alle 20 negli spazi dell’ex asilo Filangieri, in vico Giuseppe Maffei, alla presenza delle tre autrici e di altri ospiti.

 
La Seymour, giornalista inglese che vive a Napoli da più di cinque anni, si considera partenopea d’adozione. «Arrivai in città», racconta, «nel pieno della crisi dei rifugiati, con l’idea di dare una mano come volontaria. Iniziai a fare la traduttrice in un centro d’accoglienza, ma ben presto decisi di uscire da questo sistema tutto burocratico, perché sconvolta da come i giovani migranti venivano sfruttati per guadagni privati. Pian piano ho iniziato a coltivare amicizie con molti di loro, a partire da Fata e Yankuba, a ospitarli a casa in modo da fargli vivere una quotidianità lontana dalle pressioni e dall’atmosfera negativa dei centri di accoglienza straordinaria. Il documentario è nato così, in modo molto semplice e spontaneo».


Nei suoi 35 minuti, «Teranga – Life in the waiting room» racconta con intensa partecipazione e lucida umanità le storie di Fata e Yankuba, il primo aspirante dj e il secondo studente universitario con l’aspirazione di diventare biochimico. Giunti a Napoli dopo l’infernale odissea nelle carceri libiche e attraverso il Mediterraneo, come tanti altri uomini e donne provenienti dall’Africa, entrambi devono fronteggiare una burocrazia respingente, con l’unico sfogo delle serate danzanti al Teranga (la musica è centrale nel film, a partire dalla soundtrack dei rapper Lil Bo$$ e Doz3r Starlet, anch’essi immigrati richiedenti asilo), dove – dicono nel documentario – «noi balliamo per dimenticare, noi cantiamo per dimenticare», facendosi quasi scudo di queste parole. «Grazie a quelle amicizie, ho iniziato a frequentare la comunità di migranti in piazza Garibaldi e», spiega la giornalista-regista, «sono stata colpita dalla loro intraprendenza e capacità di recupero, oltre che dalla gentilezza nei miei confronti. Così, ho coinvolto Daisy e Lou e abbiamo concretizzato il nostro desiderio comune di raccontare le vite sospese e invisibili di queste persone dinamiche e stimolanti, troppo spesso negate e ostacolate dai media e dai pregiudizi sociali. Alla fine, spero che il nostro lavoro possa servire a far guardare questi ragazzi con occhi diversi e più umani». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino