Acerra, l’eccidio degli ultimi 79 anni fa come a Bucha: la Resistenza dimenticata

Acerra, l’eccidio degli ultimi 79 anni fa come a Bucha: la Resistenza dimenticata
È la città delle “più resistenze” quella che il presidente Mattarella ha scelto per commemorare il prossimo 25 aprile, subito dopo l’omaggio...

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È la città delle “più resistenze” quella che il presidente Mattarella ha scelto per commemorare il prossimo 25 aprile, subito dopo l’omaggio all’Altare della Patria. Eroica è stata la battaglia di Acerra contro l’armata dell’esercito nazista “Hermann Goring”, non semplici soldati ma una divisione della Wehrmacht responsabile anche della strage di Civitella Val di Chiana e forse di Marzabotto. Un corpo scelto della gioventù hitleriana che si accanisce tra l’1 e il 2 ottobre del 1943 contro un paese di contadini stanco dei soprusi: un mese di razzie, esecuzioni, vendette. 

«Verso le 8 di mattina, mentre nessuno se l’aspettava, arriva un plotone nuovo di soldati tedeschi su camion dalla parte di Pomigliano», annota il vescovo Nicola Capasso, tra i protagonisti di quei due terribili giorni. Il sacerdote va in soccorso di un parroco, don Michele Carfora finito tra i prigionieri. Anch’egli viene fatto sedere a terra e si ritrova con i fucili puntati. Lo lasceranno andare dopo alcune ore insieme con “altri due, tre vecchi zoppicanti” mentre duecento uomini vengono «indrappellati e condotti a piedi a Caivano» dove ci sono già altri deportati, annota monsignor Capasso. 

La mattina successiva è quella del coraggio: un side-car degli invasori viene preso di mira da una pattuglia di giovani acerrani che durante la notte ha deciso di tirare fuori le armi stipate nelle settimane precedenti in case di campagna, tuguri e sotto il palco del teatro vescovile adiacente al Duomo. Un sabato di guerriglia, mentre un carro armato distrugge le improvvisate barricate erette utilizzando carretti e masserizie. Le sventagliate dei mitragliatori, piazzati dai tedeschi negli slarghi delle strade principali, tra cui l’attuale corso Resistenza, lasciano a terra 84 civili, tra cui dieci ragazzini e diciotto donne; più nove partigiani, come riportato in una recente indagine dell’Università Federico II.

Un sabato di Resistenza popolare, ad armistizio firmato, reso possibile grazie a una forte identità cittadina, all’epoca tratto comune dell’intero Mezzogiorno, città-famiglie in cui tutti si conoscevano e se potevano si aiutavano a vicenda. Mattarella commemorerà dunque l’eccidio degli “ultimi”, all’indomani della strage di Bucha, le immagini di quei corpi straziati lasciati ai bordi delle strade. 

«Il primo provvedimento che urgeva era la rimozione dei cadaveri, alcuni dei quali imputridivano nelle vie e nelle case da tre giorni. Il vescovo si assunse lui l’organizzazione di questo servizio, mentre il Commissario si occupò di ristabilire uffici e personale», annota in terza persona sempre il vescovo Capasso. La tragedia e il tributo di dolore delle città ucraine ricordano quelle degli acerrani, anche loro combattenti improvvisati per conquistare la libertà quando i tedeschi da alleati diventano invasori. Una pagina gloriosa della storia del Paese. 

Chi è nato e ha vissuto ad Acerra ricorda un trentennale dell’eccidio con una serie di manifestazioni e iniziative nelle scuole affinché il ricordo della carneficina fosse patrimonio anche di chi è nato dopo. Era il 1975, da allora solo qualche opuscolo e la routine di una corona di alloro posta davanti il cippo sistemato trent’anni fa, poi nel 2019 una lapide sulla parte del Municipio con i nomi delle vittime dopo il riconoscimento conferito dal presidente Ciampi. «Una strage che, nonostante sia quella con il più alto numero di vittime - fatta eccezione per Napoli - tra quelle campane viene ricordata da pochi anni. Sul sito del Comune non vi è fatto alcun cenno, se non attraverso la medaglia d’oro conferita alla città», scrivono i ricercatori della Federico II. Tra i cenni storici che invece l’amministrazione comunale pubblica sulla propria pagina istituzionale c’è l’assedio di Annibale e la dominazione Longobarda, non una parola per Francesco Bosco, Filomena Caliendo, Santa Buonincontro, Raffaele Cantore, Vincenzo Cardellino e così via, tutti morti sotto i colpi delle mitragliatrici tedesche.

Il discorso del Capo dello Stato, in programma lunedì prossimo nel cortile del Castello Baronale a partire dalle ore 11, trasmesso in tv, sarà dunque l’occasione per riannodare il filo della memoria in una città che da molti anni appare come smarrita, relegata al ruolo di periferia degradata della metropoli, paesone senza più anima, dove le piazze rimangono vuote e i centri commerciali unico luogo di socialità.

Destino comune a molti zone d’Italia, ma Acerra ha forse qualche dovere in più con la propria storia: ha pagato un drammatico tributo alla Liberazione ma è anche la città di una seconda resistenza, meno corale rispetto alla prima, contro un nemico più insidioso perché allevato “in casa”: la camorra. 

Il “capo-brigata”, esattamente quarant’anni fa, è stato monsignor Antonio Riboldi al quale si deve la nascita del primo, grande movimento di giovani contro la mafia. Anche in quell’occasione la rivolta partì dal salone vescovile dove trentanove anni prima i partigiani avevano nascosto le armi. Era il 29 ottobre dell’82 quando gli studenti del liceo scientifico si riunirono per un’assemblea e don Antonio, unico oratore a essersi presentato, spiegò ai ragazzi che non si poteva più vivere “come topi” all’indomani dell’ennesimo omicidio, in quel caso l’avvocato della Curia, persona perbene, la cui unica colpa era quella di essere anche difensore del boss del momento.

A distanza di una decina di giorni, il 12 novembre, un primo corteo attraversò Ottaviano, regno di Cutolo, poi il 17 dicembre la marcia con don Riboldi, il vescovo Costanzo e Luciano Lama; e ancora centomila giovani arrivati da ogni parte del Paese nella Villa comunale di Napoli al culmine di assemblee e manifestazioni svoltesi nell’intero Mezzogiorno che grazie ai giovani partiti da Acerra scoprì che la mafia va combattuta anche nelle piazze. 

Una più recente resistenza è quella contro i veleni della criminalità: Acerra va sicuramente annoverata tra le città martiri dell’inquinamento ambientale, “capitale” della Terra dei fuochi dove le pareti utilizzate per affiggere manifesti funerari si sono trasformate da almeno trent’anni in uno sterminato muro del pianto: “prematura scomparsa” per non scrivere morto di cancro, soprattutto quando si tratta di bambini.

Deleghe in bianco concesse alla politica con la promessa di uno sviluppo economico mai arrivato, colpevoli silenzi e complicità esplicite: ci sono migliaia di pagine di processi passati in giudicato, come quello contro i fratelli Pellini, che provano un colossale giro di affari e di omissioni. Il tragico risultato è la presenza di migliaia di fusti di materiale tossico, provenienti in larga parte da imprese del Nord, sotterrati nelle campagne un tempo ritenute tra le più fertili del Paese.

Un “terzo vescovo”, Antonio Di Donna, combatte da anni la spesso solitaria battaglia per l’ambiente: «Qui ci sono famiglie - dice - che non smettono di “resistere” nonostante l’indifferenza e il cinismo di quelli che invece di alleviarne le ferite continuano ad inquinarne le terre. Bonifiche che non partono, rimpalli di responsabilità, continue autorizzazioni per la costruzione di impianti di trattamento dei rifiuti laddove andrebbero invece concretamente e realmente valorizzate e promosse le risorse ambientali, culturali, archeologiche e paesaggistiche di territori che così rischiano di essere sempre più abbandonati al loro destino». L’inquinamento elevato dagli attuali amministratori, regionali e locali, a vocazione economica.

Potrà essere l’omaggio alla Resistenza da parte della più alta carica dello Stato l’occasione per ritrovare il coraggio del ‘43? Dare un valore in più alla visita di Mattarella è la sfida che questa città di sessantamila abitanti ora ha davanti per onorare, anche con l’azione quotidiana di ognuno, chi ha combattuto contro i nemici della propria terra sperando in un futuro diverso dal presente. 

 

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Il Mattino