Banchi negati, un delitto nella capitale della dispersione

Banchi negati, un delitto nella capitale della dispersione
Dal bene comune al si arrangi chi può. Se c’è una storia in grado di confermare il grado di involuzione di questa amministrazione, il precipitare della sua...

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Dal bene comune al si arrangi chi può. Se c’è una storia in grado di confermare il grado di involuzione di questa amministrazione, il precipitare della sua parabola verso il fallimento, è la storia della scuola dell’infanzia: la scuola comunale dei bambini da tre a sei anni per la cui operatività De Magistris si era battuto come un leone, quando si trattò di vedere riconosciuto il suo (sacrosanto) diritto ad assumere un piccolo, necessario esercito di maestre a tempo determinato; la scuola che oggi, in vista dell’anno scolastico 2021-22, è costretta a un ridimensionamento causato proprio dall’impossibilità a ricorrere ancora a quei contratti.

Quasi 400 bambini su poco più di tremila, più o meno uno su nove, non troveranno posto l’anno prossimo tra i banchetti della loro scuola, non per via del Covid, non per via della carenza di spazi (che anzi non mancano) ma perché il Comune non ha soldi sufficienti per pagare il personale.

Un problema cronico, certo. Il problema dei problemi che accomuna Napoli a ottocento altri Comuni in Italia, come Napoli sull’orlo del dissesto, come Napoli costretti a tagliare tutti i servizi, oggi qualche linea di bus, domani la cura dei giardinetti, fino al welfare in tutte le sue articolazioni, educazione infantile compresa. Un mal comune che sollecita risposte istituzionali adeguate, ma che in nessun modo può essere invocato come una giustificazione: perché degli altri non sappiamo, ma di certo qui, a Napoli, in dieci anni gli evasori sono rimasti evasori, i debitori sono rimasti debitori, gli sprechi (in buona parte) sprechi.

Con l’aggravante che a Napoli era stato issato un vessillo, quello slogan del bene comune che oggi suona come un beffardo gioco di parole e che s’attagliava a tutto, e alle scuole dell’infanzia in modo particolare: le scuole difese a spada tratta, all’inizio dell’avventura arancione, fino a quella vittoria finale, la scuola dei bimbi napoletani cui dare le stesse chance educative degli altri, la scuola delle loro madri da incoraggiare a uscire, a lavorare, a vivere senza ansie il loro doppio ruolo nella società. Il vessillo del bene comune per la scuola bene comune: vessillo ammainato, oggi, piuttosto frettolosamente e senza darsi troppo pena, se non con la promessa generica, affidata all’assessora Palmieri, dell’inserimento in bilancio delle somme necessarie a una parte almeno delle assunzioni. Somme che non ci sono e che non viene spiegato dove e come verranno reperite. 


Ma in fondo cosa importa. In fondo tra pochi mesi questa amministrazione non esisterà più, non saranno questo sindaco e questi assessori a seguire la vita dell’anno scolastico che comincerà a settembre: potranno consentirsi il lusso di non dare risposte alla platea delle mamme obbligate ad affrontare uno in più tra i mille ostacoli che già complicano la loro vita quotidiana, potranno evitare di guardare negli occhi questi quasi quattrocento bambini che non potranno vivere un’esperienza ludica, emotiva e soprattutto pedagogica importantissima in quella fascia d’età. Gli anni in cui si impara a misurare i propri spazi, a condividere e dividere oggetti e attenzioni con i coetanei, a obbedire alle regole e alla routine. Cosa importa, a un passo dall’addio.

O forse no: tutto sommato si può leggere un sussulto di buona volontà, un residuo di buona pratica nella scelta compiuta dallo staff dell’assessora Palmieri, che dovendo scegliere ha «scaricato» il problema quasi esclusivamente sulle spalle delle famiglie a più alto reddito, e quindi più disponibili a rivolgersi a istituti privati, che risiedono al Vomero, a Chiaia, a Posillipo, mentre ha ridotto al minimo gli esclusi nelle Municipalità a più alto tasso di povertà e precarietà, da San Lorenzo a Miano e Secondigliano, da Piscinola a Scampia. Scelta in apparenza razionale che tuttavia non cancella le perplessità, visto che questa divisione corrisponde, per grandi linee, anche a quella dei bacini elettorali della città, con quello più favorevole agli uscenti collocato proprio nelle aree «esonerate» dal taglio. 


Salviamo dunque i bambini dall’esilio forzato a casa, specialmente dopo un anno come questo, specialmente quelli che non hanno intorno a sè modelli educativi rassicuranti, quelli che senza scuola finiscono per strada, o parcheggiati davanti a un tablet. Ma salviamoli anche, per carità, dalla campagna elettorale. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino