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A sei giorni dal voto, le elezioni sembrano lontanissime. Le Camere si riuniranno il 13 ottobre per nominare i rispettivi presidenti, il capo dello Stato avvierà subito dopo le consultazioni e il primo obiettivo di Giorgia Meloni è di farsi trovare con un governo pronto. Ma la leader di Fratelli d’Italia ha rivestito immediatamente il ruolo di candidata a palazzo Chigi in un modo che non ha precedenti nella storia repubblicana.
Niente festeggiamenti per la vittoria. Mai successo. Nessuna intervista. Idem. Pochi e meditati messaggi via social, come quelli di ieri contro l’annessione alla Russia di quattro regioni ucraine e l’appello all’opposizione per dimenticare i miasmi della campagna elettorale perché “questo è il tempo della responsabilità”.
Se c’è qualcosa che turba il sonno della Meloni non è la formazione del governo, ma il costo delle bollette. È realistico aspettarsi per la fine del mese – a far prestissimo – la fiducia delle Camere e la pienezza operativa del nuovo governo.
Alla vigilia delle elezioni, Macron ha rovinato la società elettrica francese (controllata dallo Stato, ma quotata in Borsa). Ma tant’è. Per proteggere i francesi, il governo ha successivamente messo sul piatto 80 miliardi. Nessuno in Europa s’aspettava il colpo dei tedeschi: 200 miliardi per ridurre le bollette. Su Scholz sono piovute maledizioni d’ogni genere, anche perché senza un tetto alla speculazione il problema è irrisolto. Se l’Europa non scinderà il prezzo del gas da quello elettrico – la speculazione nasce qui – Giorgia Meloni mi disse alla vigilia delle elezioni che avrebbe provveduto da sola. Ma potrà farlo solo tra un mese. E fino ad allora? Francia e Germania si sono messe d’accordo per incamerare i superprofitti energetici. Perché da noi ci si prova inutilmente? E intanto, perché non rateizzare seriamente il pagamento delle bollette per evitare o che non vengano pagate o che mandino in rovina aziende e famiglie?
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