Coronavirus a Napoli: «Mio figlio, 16 anni, bloccato nell'aeroporto di New York»

Coronavirus a Napoli: «Mio figlio, 16 anni, bloccato nell'aeroporto di New York»
«Pervasa da un sentimento patriottico mi illudevo che, una volta giunto a New York, mio figlio sarebbe tranquillamente tornato in patria grazie alla nostra compagnia di...

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«Pervasa da un sentimento patriottico mi illudevo che, una volta giunto a New York, mio figlio sarebbe tranquillamente tornato in patria grazie alla nostra compagnia di bandiera. Invece no: a lui, come ad altri quaranta studenti italiani, tutti minorenni, è stato negato l’imbarco. Sono stati lasciati soli - nell’aeroporto della città che conta il più alto numero di contagi al mondo - senza bagagli, senza mascherine e guanti di ricambio. E io, in qualche momento, mi ero anche illusa che essere cittadini italiani avesse ancora un valore». Comincia così il “post”, accorato, che Rossella Guariglia, mamma di uno studente di 16 anni, affida alla sua pagina Facebook. Paura e preoccupazione, ansia e voglia di denunciare: «Quello che sta succedendo a quei ragazzini - si indigna la Guariglia - è assurdo e intollerabile: i nostri figli sono lì da due giorni, e non sappiamo quando riusciranno a tornare a casa».


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L’odissea del piccolo Armando - insieme con altri quaranta giovanissimi provenienti da tutte le regioni d’Italia - comincia circa dieci giorni fa quando la scuola di Los Angeles che lo studente napoletano frequenta nell’ambito del progetto “exchange student”, avvisa i familiari che la situazione negli Stati Uniti si sta complicando e la scuola potrebbe essere costretta a chiudere i battenti a causa del coronavirus. Da qui la decisione della famiglia di far rientrare il figlio quanto prima. Una scelta condivisa subito anche dalle mamme e dai papà degli altri ragazzini italiani che partecipavano, come Armando, al programma di studio destinato a quegli alunni che decidono di frequentare un anno scolastico all’estero. Una bella opportunità per imparare a esprimersi in una lingua diversa, fare nuove amicizie e inserirsi in un contesto sociale differente dal proprio.

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Peccato che il ricordo di questa esperienza straordinaria si confonderà con quello di due giorni - almeno per il momento - vissuti in un aeroporto, nel bel mezzo di una epidemia devastante, senza sapere quando, e se, si ripartirà. «Mio figlio è arrivato a New York due giorni fa - racconta mamma Rossella - ma da Los Angeles ce ne sono voluti quasi dieci prima di trovare un volo per l’aeroporto Jfk dal quale - dopo poche ore - sarebbe dovuto salire a bordo di un aereo Alitalia che lo avrebbe portato a Roma». Invece Armando è ancora lì, a New York, in attesa che arrivi il suo turno: senza bagagli e senza neanche una mascherina di riserva con la quale sostituire quella che ha ormai sulla bocca da giorni. Lo stesso vale anche per i guanti di cui gli studenti non dispongono più. Meno male che con il giovane Armando ci sono altri quaranta ragazzini provenienti da diverse scuole della California con i quali condividere l’attesa della partenza. «Abbiamo coinvolto la Farnesina - aggiunge Rossella Guariglia - la nostra compagnia di bandiera e chiunque potesse darci una mano a riportare a casa i nostri ragazzi. Sono tutti minorenni, hanno paura e non sono in grado di gestire situazioni di emergenza così». 
 
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Perchè quei quaranta studenti non riescono a imbarcarsi benché siano passati già due giorni dalla data della loro prenotazione? «Non c’è posto» è stata la risposta che hanno ricevuto dagli operatori: «Gli aerei viaggiano nel rispetto delle norme di sicurezza: meno voli e meno passeggeri a bordo. Dunque, dovete aspettare». Quanto? Non si sa, nessuno è in grado di dare certezze a questi ragazzi che, visto che sono tutti minorenni, avrebbero dovuto avere una priorità. Il programma cambia di ora in ora, i genitori qui in Italia non sanno più che cosa fare e a chi rivolgersi: «Abbiamo chiamato anche l’ambasciata, il consolato, la Farnesina. Sono stati tutti molto gentili, ci hanno assicurato che se ne stanno occupando - conclude la mamma di Armando - a questo punto posso solo dire: speriamo bene. Saperli soli, in un aeroporto ad alto rischio contagio come quello di Ny, vi assicuro che non ci fa stare per niente tranquilli».
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Il Mattino