Coronavirus, se il calcio decide classifica alla mano

Coronavirus, se il calcio decide classifica alla mano
Anche in questi giorni terribili il calcio italiano ha la capacità di distinguersi, purtroppo non solo per aspetti positivi come l’accordo tra la Juve e i suoi...

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Anche in questi giorni terribili il calcio italiano ha la capacità di distinguersi, purtroppo non solo per aspetti positivi come l’accordo tra la Juve e i suoi giocatori per il congelamento di quattro stipendi. 


Si è aperto l’ennesimo - e stavolta assolutamente fuori luogo - scontro tra i presidenti sulla ripresa del campionato che è stato interrotto il 9 marzo con Sassuolo-Brescia, il giorno dopo la sfida Juve-Inter che consentì ai bianconeri di tornare in testa alla classifica e che venne seguita in panchina da Rugani, a distanza di poche ore risultato positivo al Coronavirus.

Non c’è un atteggiamento unitario perché ognuno guarda il futuro attraverso il buco della serratura della propria porta, ovvero in base alla convenienza del momento e della classifica. I presidenti dei 36 club professionistici tedeschi hanno dato un esempio ai litigiosi colleghi italiani sottoscrivendo un accordo per concludere la stagione entro giugno, seguendo le ferree indicazioni di una task force medica. E dalla Premier è arrivato un segnale chiaro: «Siamo tutti determinati a giocare, quando ci saranno le condizioni». Invece, in Italia ci sono stati presidenti che hanno fino all’ultimo insistito affinché si potessero riprendere gli allenamenti, arrendendosi soltando davanti al diktat del governo, che con il Dpcm di ieri ha confermato lo stop alla preparazione collettiva fino al 13 aprile.

La ripresa del campionato - in serie A restano 124 partite da giocare, oltre a quelle delle coppe europe e alle tre di Coppa Italia - assume significati più economici che tecnici e regolamentari, perché in caso di mancata conclusione dell’annata è stato stimato un danno superiore al mezzo miliardo di euro. Per evitare di perdere i contributi televisivi (problema evidentemente non solo italiano: Canal+ ha comunicato ai club francesi che non verserà la rata di 110 milioni) ci sono società che insistono per tornare in campo mentre altre auspicano la definitiva sospensione e questo non soltanto in doveroso ossequio alla tragedia che sta devastando il globo ma anche per tutelare gli interessi di bottega, relativamente legittimi in tempi di pandemia. La Juve, capolista dall’8 marzo, sembra non tifi né per un partito né per l’altro perché lo scudetto potrebbe non essere assegnato in caso di sospensione. Favorevoli alla ripresa del campionato tra gli altri Lazio, Roma, Napoli, Cagliari (il presidente Giulini ha chiesto un parere ai suoi tifosi), Atalanta (anche se i tifosi supplicano il patron Percassi affinché vi sia lo stop dopo il terrificante numero di morti e contagiati in provincia di Bergamo) e Lecce, nonostante sia terz’ultimo e seriamente a rischio retrocessione. Contro la ripresa, infatti, vi è chi rischia il tracollo tecnico o finanziario: Brescia, Spal, Torino, Samp, Genoa. Anche Inter e Milan sono in questo partito ma perché la Lombardia è la regione più colpita dal Coronavirus. Ovviamente in questo discorso sono coinvolti anche i club di serie B, col Benevento che reclama il posto in A, forte dei 22 punti di vantaggio sulla terza in graduatoria. Ma qui è in gioco altro e restano un rebus tempi e modalità per le partite, con tutto il rispetto per le posizioni in classifica: la pandemia ha azzerato ben altro.


L’Uefa si augura che i campionati possano ripartire, comunque quello che conta è far giocare le coppe europee in piena estate e nella prossima stagione, in cui non vi saranno rigidi controlli sui bilanci, alla faccia di chi rispetta il fair play finanziario. Domani i club di serie A tornano a riunirsi per individuare un comune percorso su allenamenti, partite, taglio agli stipendi dei calciatori. Il futuro del calcio è nelle loro mani perché, come ha ricordato il presidente della Lega Serie A Dal Pino in una polemica col ministro Spadafora, l’intera “piramide” si regge su quanto riesce a produrre la prima fila del sistema (valutato un indotto di 8 miliardi). I presidenti siano distanti ma uniti, come recita lo slogan di sportivi che sono stati costretti a rinunciare non a una manciata di partite ma alle Olimpiadi. Il calcio avrebbe dovuto avere le risorse per autofinanziarsi, invece il numero dei club indebitati cresce perché i giocatori hanno avanzato richieste sempre più elevate e le parcelle dei loro procuratori - i Raiola & Co. - sono salite fino a 188 milioni, secondo i dati diffusi dalla Federcalcio. Ci rarissimi esempi virtuosi, come il Napoli, che ha chiuso il bilancio 2019 con un attivo di 29 milioni e un fondo cassa di 145. Il calcio avrebbe dovuto fare i conti con la realtà già da tempo, quando non era così drammatica. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino