La pandemia tutte le tradizioni porta via

La pandemia tutte le tradizioni porta via
La befana bandita dai mercatini, si è infilata nei camini. E ha portato comunque un dono alla maggior parte dei bambini. La buona vecchina, infatti, è abituata a...

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La befana bandita dai mercatini, si è infilata nei camini. E ha portato comunque un dono alla maggior parte dei bambini. La buona vecchina, infatti, è abituata a superare le avversità del caso e a calarsi dalle canne fumarie per raggiungere nottetempo il focolare domestico, simbolo della koiné familiare. Ma alla donatrice volante, nonché ai suoi sponsor, sono mancati i rifornimenti abituali. Perché le bancarelle delle grandi occasioni, come quelle di piazza Mercato a Napoli, non hanno potuto esporre le loro luccicanti mercanzie, visto che avrebbero inevitabilmente provocato assembramenti. È l’ennesimo effetto negativo del Covid. Che dopo aver contingentato il pranzo di Natale, ridimensionato i Veglioni, schiattato San Silvestro, si è accanito anche sulla dodicesima notte, la più magica di tutto il ciclo natalizio, quella che tradizionalmente era la data di consegna dei regali. 

Ma da quando Babbo Natale negli anni Sessanta le ha soffiato il posto la rider della scopa si occupa solo di delivery delle calze. Una sorta di pagella sull’anno trascorso, che oggi più che un giudizio sembra un condono, perché mostra i segni di una particolare indulgenza, con zero carbone e tanti cioccolatini, quale compensazione per le fatiche da DAD e mascherine.

Di fatto a partire da marzo del 2020 viviamo in un continuo stato di eccezione, le regole sono saltate e le feste annullate. Insomma, niente è più come prima. Dopo ventidue mesi, trascorsi a stravolgere abitudini, rituali e cerimonie, viene da chiedersi che ne sarà delle nostre tradizioni?

Il fatto è che il Covid non ha semplicemente affondato le nostre consuetudini, ha anche passato un tratto di evidenziatore sul valore delle tradizioni e soprattutto sul loro più profondo significato. Rivelando in maniera inequivocabile che quasi tutto quello che facciamo durante le feste comandate, laiche o religiose, serve essenzialmente a rinsaldare legami. Con i parenti, gli amici, la comunità, il paese. Paradossalmente l’interdizione si è trasformata in una lezione.

E proprio perché ci è stata vietata, ci siamo accorti che la convivialità è un ingrediente indispensabile della vita sociale. Il che è diventato sempre più lampante man mano che la variante Omicron depennava con imparziale viralità gli invitati alla festa dell’Epifania. Ospiti prima annunciati, poi tamponati, finiti in autoisolamento volontario o peggio in quarantena. Costringendoci, ahimè, a levare un posto a tavola perché c’è un amico in meno. E un contagiato in più.

A voler guardare il bicchiere mezzo pieno, potrebbe esserci un risvolto positivo. Forse ci siamo liberati degli aspetti più coercitivi della tradizione, che qualche volta erano quasi minacciosi. Riti ripetuti stancamente cui non ci si poteva sottrarre. Al punto che un mio studente durante una lezione del corso di Cultura e identità dedicata all’annoso dibattito tra tradizionalisti e antitradizionalisti ha raccontato che a casa sua per proporre un cambio di menù per la Vigilia di Natale è necessario indossare il giubbotto antiproiettile.

Ma questa volta la pandemia ha infranto molti tabù. E ha costretto madri e padri, eterni custodi dei costumi di famiglia, a scendere a compromessi. Niente baci e abbracci, ma tante videochiamate. Tavole imbandite di pane e nostalgia, in fondo è buona anche quella. Tutti a chiedersi, come nell’aria di Mozart, “dove sono i bei momenti?”. Per poi accettare la realtà.

Ma visto che l’umanità è adattogena, elastica, o come si ama dire oggi resiliente, possiamo immaginare che quando la pandemia sarà finita, inizieranno i bilanci, su che cosa valga la pena di conservare e che cosa meriti di essere sfrondato o ammodernato. La tradizione è tale proprio in quanto muta. Lo dice la parola stessa, che deriva dal latino tradere, che significa mandare avanti, trasmettere. E solo una parte di ciò che siamo e pensiamo vale la pena di essere trasmesso alle prossime generazioni.

Peccheremmo di narcisismo patologico a pensare che il nostro passato fosse perfetto e che il nostro io collettivo non meriti qualche ritocco. Ogni tanto ci vuole un reset dell’anima. E volenti o nolenti il virus ci costringe a farlo adesso. Perciò si può pronosticare che nel mondo post-Covid la tradizione sarà sempre più un piacere e sempre meno un dovere. In fondo è innegabile che troppa tradizione guasta. E il giusto basta. A noi la scelta.

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Il Mattino