Corsa ai vaccini, la guerra ​delle corporazioni

Corsa ai vaccini, la guerra delle corporazioni
La zona rossa che, in questo eterno giorno della Marmotta che viviamo in Campania, torna in vigore da oggi, a ben guardare è accompagnata da una novità: una crepa...

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La zona rossa che, in questo eterno giorno della Marmotta che viviamo in Campania, torna in vigore da oggi, a ben guardare è accompagnata da una novità: una crepa che si va allargando sempre di più. È una frattura visibile a tutti, uno spacco che diventa giorno dopo giorno più profondo, e che rischia di inghiottire quel residuo di solidarietà sociale che faticosamente sopravvive in questo lungo anno di pandemia, nel corso del quale era chiaro fin da subito che, come ci illudevamo sui nostri balconi, non sarebbe andato tutto bene.

Questa frattura è la linea che corre tra i sommersi e i salvati del vaccino. È una riga molto pericolosa, quella che si va tracciando tra chi ottiene il via libera alla somministrazione del siero e chi resta alla finestra, in una snervante e preoccupata attesa. Perché condensa intorno a sé l’immagine della giustizia sociale oggi prevalente: una fabbrica di spettacoli, dove ognuno diventa attore di sé stesso e la realtà muta incessantemente in una sorta di reality, di rappresentazione di schemi di potere. La partita dei vaccini, i criteri sulla base dei quali somministrarli, sta assumendo l’aspetto delle palline di mercurio che fuoriuscivano dai termometri quando si rompevano: una linea apparentemente continua e unitaria che, al primo contatto con l’aria, si separava in tante sfere staccate le une dalle altre, tante monadi a sé stanti e in competizione l’una con l’altra. Nell’ennesima zona rossa campana stiamo assistendo precisamente a questa separazione. Da un lato ci sono i sommersi: i malati oncologici, i fragili, le persone con patologie pregresse, la fascia d’età tra i 65 e gli 80 anni. Dall’altro i salvati: alcune categorie di dipendenti, i lavoratori iscritti a diversi ordini professionali. 

I primi vivono nella perenne attesa che accada qualcosa, con la percezione furente che trovarsi al centro di una pandemia per loro così pericolosa vuol dire solo essere al centro della confusione, dell’incertezza, in uno slalom continuo tra ostacoli che spuntano come funghi una settimana dopo l’altra. Il segretario della Federazione dei medici di famiglia, Silvestro Scotti, ha denunciato “una forte discriminazione nei confronti dei soggetti con patologie, contro la quale chiediamo al governo l’immediata tutela dei soggetti fragili e di velocizzare la disponibilità di tutti i vaccini utilizzabili”. I secondi, invece – tra questi magistrati, avvocati, studenti di medicina, giornalisti, ausiliari del traffico – o hanno ottenuto il via libera al vaccino o stanno facendo forti pressioni per ottenerlo. È l’Italia delle corporazioni al suo peggio, nel pieno del suo splendore (se così si può dire). È la realtà del gruppo staccato, del clan, della comitiva, accompagnato da quell’inconfondibile effluvio che odora di “locale”, di “particolare”, di “amici”, le colonne portanti intorno alle quali, da secoli, è stata assemblata un certo tipo e una certa idea di società, conglomerato di gruppi organizzati, rapiti esclusivamente dai propri interessi di settore, avidi di esclusive e godimenti riservati. I primi ormai quasi rassegnati all’idea che le cose non possano che andare così; i secondi pronti ad andare avanti con le loro richieste costi quel che costi, anche a rischio di logorare il tessuto unitario di un Paese già profondamente lacerato. Qualcuno – il ministero della Sanità, i presidenti di Regione – riesce a ricomporre il più in fretta possibile questa spaccatura? “In Italia”, scriveva nel 1820 Giacomo Leopardi, con parole che sarebbero tornate infinite volte, fino appunto ai giorni nostri “la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione \[…\]; la società che avvi in Italia è tutta a danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno”.

 

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Il Mattino