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Contro ogni attesa, Mario Draghi ha anticipato la liberazione alla Liberazione. L’attività in orario diurno di bar e ristoranti e il via libera a cinema, teatri e musei dal 26 aprile ha collocato il presidente del Consiglio in cima alla lista degli ‘aperturisti’. Non è un incosciente e – visto il suo ruolo – non ha agito per calcolo politico. Draghi ha capito meglio di altri che il Paese è stremato, che il miglior ristoro è il lavoro e che non sarebbero bastati nemmeno i fantastamiliardi approvati finora per tamponare ferite ormai emorragiche.
L’Italia guarda alle riaperture con due occhi diversi.
E’ fatale che la Lega e anche Forza Italia si intestino la campagna aperturista. Per questo, probabilmente, Draghi ha voluto mettere sull’altro piatto della bilancia un aperto sostegno a Roberto Speranza, blindandone la presenza nel governo. (Salvini aveva capito l’aria se da un paio di giorni diceva: non mi interessa la lotta a un singolo, m’interessa la squadra). La posizione ideologica di Speranza è opposta a quella del centrodestra: nel suo libro ritirato un momento dopo l’uscita in ottobre parlava della revisione del sistema sanitario dopo la pandemia come dell’occasione per stabilire l’egemonia culturale della sinistra. Ma in un governo di coalizione, se ciascuno può portare legittimamente avanti le proprie richieste, non deve esserci spazio per ‘dispetti’ reciproci, come ha detto Draghi. Perciò né Lega e Forza Italia potranno votare la sfiducia a Speranza chiesta da Fratelli d’Italia. Un giorno si voterà per le elezioni generali. E solo allora si faranno i conti.
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