Dal recovery fund la spinta per rilanciare la ricerca

Dal recovery fund la spinta per rilanciare la ricerca
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Per capire ciò che negli ultimi dieci mesi è realmente successo nel nostro Paese si può fare un semplice esercizio aritmetico. Immaginiamo di visitare la Città del Vaticano, di passare poi nell’antichissima Repubblica di San Marino e da lì nella città di Aosta. Immaginiamo di trovare questi due piccoli Stati conosciuti in tutto il mondo e la città fondata dall’imperatore Augusto, capoluogo di una nostra Regione, spettralmente deserti. Vuoti i luoghi di culto, i castelli, le piazze, le fabbriche, i bar, gli uffici, tutte le strade, ogni vicolo. Questo sarebbe lo scenario se la mortalità verificatasi in Italia nel 2020 per effetto del Covid si fosse concentrata soltanto in quei luoghi: la somma dei loro abitanti è infatti di poco inferiore ai circa settantamila italiani deceduti per il virus. E probabilmente, prima della fine dell’anno, il lettore che volesse continuare con questo sconsolante esercizio potrebbe aggiungervi altri due o tre piccoli comuni a sua scelta. Quest’immagine rende con efficacia forse maggiore il dato “freddo” certificato dall’Istat, che attesta il grande balzo dei morti nel 2020 rispetto alla media degli anni precedenti, confutando così definitivamente le pericolose acrobazie dialettiche dei negazionisti. Sorpresi dal virus, non siamo riusciti sinora a trovare una prevenzione migliore del “distanziamento” sociale che, per chi ricordi il racconto manzoniano della peste, è più o meno quello che il buon Renzo praticava nelle strade di una Milano deserta quando finalmente si rese evidente il meccanismo del contagio (e anche allora i negazionisti non mancavano!). È persino superfluo evidenziare quanto il distanziamento sia contro natura per l’uomo che è, aristotelicamente, zoòn politikòn, e che ha incentrato il proprio modello produttivo sulla divisione sociale del lavoro. 


Dobbiamo allora disperare e arrenderci? No, perché oltre alla dimensione (insieme naturale e culturale) della politicità, caratteristica dell’uomo è altresì ciò che gli antichi greci definivano logos. Vale a dire il pensiero, la capacità di elaborare idee, di ricercare la conoscenza anche attraverso l’esperienza. Proprio la conoscenza, nella sua moderna forma di scienza applicata, ci ha fornito l’unico ma decisivo presidio per prevenire la pandemia: i vaccini alla cui preparazione hanno lavorato i migliori scienziati del pianeta, e di cui non possiamo non fidarci. 


La scienza infatti rappresenta, ancora una volta, la nostra migliore speranza di sfuggire alla vita contro natura che stiamo nostro malgrado vivendo, e a questa sorta di roulette russa che di giorno in giorno minaccia di coinvolgere chiunque, a cominciare dai più deboli. È per questa ragione che bisogna prendere molto sul serio l’appello “Salviamo la ricerca italiana” che, partito già nel 2016 con una lettera di 69 scienziati pubblicata su “Nature”, è arrivato oggi a raccogliere oltre duecentomila sottoscrizioni di studiosi di ogni disciplina, di politici, ma anche di semplici cittadini. Si tratta infatti di sostenere non soltanto il lavoro di scienziati o pensatori che qualcuno frettolosamente vede quali appartenenti a caste accademiche o a variegate lobby, ma di assicurare le condizioni perché l’uomo continui a esercitare il logos, ricercando e sperimentando le soluzioni e le condizioni migliori per vivere secondo natura, ossia in società e nella salvaguardia della natura quale casa comune. Un passo importante per invertire il cronico sottofinanziamento della ricerca italiana, che nonostante sia da molti anni destinataria di risorse di pura sussistenza resta comunque ai vertici mondiali per produttività e per impatto, è costituito dalla bozza della nuova legge di bilancio, che prevede un sensibile incremento dei fondi destinati alle università e agli enti di ricerca, ivi compreso il Cnr, anch’esso ampiamente sottofinanziato. Ma lo scarto decisivo potrà essere rappresentato dall’uso accorto del Recovery fund, un’occasione irripetibile per investire nella ricerca e nell’economia della conoscenza, ossia nel futuro nostro e delle nuove generazioni. 


Nel sito web della petizione “Salviamo la ricerca italiana” campeggia la figura di un grande antico scienziato meridionale, Archimede, con un intelligente calembour applicato alla sua più nota esclamazione: “Finanziate la ricerca, e solleverò il mondo”. Ora che l’Europa fornisce la “leva” economica, sarebbe imperdonabile non individuare nella ricerca il più importante “punto d’appoggio” per una visione di lungo periodo che garantisca, attraverso l’incremento dei saperi, una vita migliore per ciascuno e una crescita sostenibile per la società. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino