Elezioni, il rischio dei sovranismi regionali

Elezioni, il rischio dei sovranismi regionali
Vent’anni fa l’annuncio. Per la prima volta nella storia repubblicana le elezioni regionali decisero la caduta di un esecutivo nazionale. Il capo del governo,...

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Vent’anni fa l’annuncio. Per la prima volta nella storia repubblicana le elezioni regionali decisero la caduta di un esecutivo nazionale. Il capo del governo, D’Alema, fu sconfitto da Berlusconi nel voto. Si dimise. Il processo impostato con la riforma per l’elezione diretta dei presidenti di regione segnò il primo passo. In realtà lo scenario politico e mediatico territoriale era ancora per «la stagione dei sindaci» iniziata nel 1993.


Era l’inizio di un profondo cambiamento della divisione dei poteri e dei rapporti di forza nelle istituzioni restava nell’ombra. Partiti, leader e accordi nazionali, tranne pochi casi (come Bassolino o Formigoni) determinavano ancora le candidature e le maggioranze regionali. Eppure il peso dei presidenti cresceva con il declino dei partiti. Nel 2013, con il collasso delle coalizioni storiche, il dilagare della crisi economica, il successo dell’antipolitica, questo equilibrio iniziò a saltare. Spesso i leader regionali riuscirono ad imporre le proprie candidature, o a forzare le coalizioni. In alcuni casi rovesciarono gli obiettivi delle segreterie romane e dei loro riferimenti locali.

Il fenomeno si delineò rapidamente. La forza dei leader regionali è direttamente proporzionale alla debolezza dei partiti di riferimento. Sul piano territoriale beneficia del declino dei sindaci delle grandi città. Roma è un esempio clamoroso, ma non il solo. Le risorse dovute al trasferimento di settori strategici come la sanità ne hanno moltiplicato le possibilità di gestione e di spesa. Inoltre quasi sempre provengono da forze politiche attente alle dinamiche del potere locale. Infine hanno afferrato le potenti possibilità offerti da nuovi e vecchi strumenti di comunicazione mediatici. 

Il 2018 è stato il punto di svolta. La proposta di federalismo fiscale, condivisa da presidenti di regioni ricche, trasversali ai due schieramenti di centro destra e centro sinistra, ha significato una ipotesi di autonomia regionale nella gestione delle risorse stato-regione inedita nella storia unitaria. La crisi epidemica ha registrato il passaggio decisivo. I presidenti di regione hanno rivendicato un potere ed un ruolo politico mai visto prima. Alcuni, in primis Luca Zaia e Vincenzo De Luca, hanno occupato un palcoscenico nazionale, rivendicando a sé responsabilità e ruoli nella gestione dell’emergenza, seguiti con maggiore o minore successo da buona parte dei colleghi. 

Le elezioni regionali hanno portato a conclusione questo processo. Certo, il quadro non è omogeneo. Il peso dei partiti è stato maggiore in Toscana, in Val d’Aosta e nelle Marche. Anche tra i leader confermati trionfalmente, non mancano differenze. Nel nord il voto si è centralizzato sulle liste dei presidenti come interpreti di blocchi economico-sociali. Nel Mezzogiorno invece si è mobilitato il ceto politico locale, attraverso un impressionante numero di liste. Il risultato è identico. Se in Italia si è rinnovato (e radicalizzato) un bipolarismo tra le due coalizioni di governo e di opposizione, i presidenti delle regioni del nord e del sud hanno spezzato questo schema. Hanno spinto o addirittura assorbito le proprie coalizioni, mettendo in secondo piano i vertici nazionali e comprimendo il modello bipolare italiano.


De Luca e Zaia, come altri presidenti, hanno un potere assoluto nella formazione delle giunte. Non devono fare i conti con una vera opposizione politica, godono di un consenso trasversale ai blocchi economici e al mondo della comunicazione. Sono gli interlocutori del governo e del sistema politico, su un terreno che si misurerà se alcune sfide fondamentali. Potranno giocare un ruolo nell’elezione del presidente della Repubblica, dove avranno proprie delegazioni. Soprattutto sono decisivi nelle trattative per la programmazione e la gestione del Recovery fund. In questo passaggio senza eguali nella nostra storia recente, sono al centro di un processo irripetibile di trasformazione delle relazioni tra istituzioni, società ed economia. Subito dopo, saranno interlocutori o protagonisti di primo piano nelle elezioni politiche, dove giocheranno definitivamente il proprio ruolo nazionale. Se saranno interpreti di un vero e proprio sovranismo regionale, un potere di interdizione, di condizionamento e di sviluppo degli assetti italiani, è la partita del prossimo biennio.
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Il Mattino