Napoli, lo scandalo esame avvocati: «Soldi, quadri e regali per essere abilitati»

Napoli, lo scandalo esame avvocati: «Soldi, quadri e regali per essere abilitati»
Non solo soldi. Anche quadri di valore, opere d’arte (tipo una testa di bronzo), una consolle di ultima generazione (valore cinquemila euro). Insomma, tangenti in denaro e...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Non solo soldi. Anche quadri di valore, opere d’arte (tipo una testa di bronzo), una consolle di ultima generazione (valore cinquemila euro). Insomma, tangenti in denaro e regali costosi, che finirebbero al capo di quella che viene definita la «banda bassotti» dell’esame degli avvocati (almeno secondo una delle tante intercettazioni telefoniche finite agli atti). 


LEGGI ANCHE Napoli, ombre sull'esame avvocati: sequestrate le prove scritte

Sono queste le pagine dell’inchiesta che vede coinvolti - tra gli altri - anche due dipendenti della Corte di Appello di Napoli, uno dei quali aveva addirittura un ruolo di vertice nello staff che si occupa della gestione degli esami di abilitazione alla professione forense. Ci sono voluti sofisticati strumenti di indagine come il trojan inoculato nel cellulare di uno dei dipendenti indagati, ma anche attività di pedinamento o i rilievi del gps piazzato nello scooter di uno degli indagati, per dare slancio all’inchiesta sull’accesso alla professione forense. Indagine per corruzione. E c’è la convinzione dell’esistenza di «un sistema collaudato» nella vendita dei test di avvocato, specie nella fase più sofferta, quella dell’esame scritto. 

Stando alla lettura delle intercettazioni, c’è l’ipotesi che lo scambio di soldi e favori avvenga in due momenti: prima la tangente o i regali (c’è chi sostiene di aver speso quattromila euro, chi invece ricorda di aver investito diecimila euro per consentire al figlio di indossare la toga), poi gli elaborati giusti consegnati nelle mani di chi aveva accettato l’accordo. Ma in che modo sarebbero avvenuti gli scambi? Stando alla lettura di alcune intercettazioni, gli inquirenti arrivano a una conclusione messa nero su bianco: l’illecita distribuzione delle soluzioni delle prove scritte durante lo svolgimento del concorso degli esami di avvocati nel 2017. In sintesi, dopo l’apertura delle buste che contengono le tracce, entra in gioco quello che viene definito il capo della «banda bassotti», o comunque l’unico in grado di avere accesso nei saloni della Mostra d’Oltremare in qualità di responsabile della gestione degli esami, ma anche di uscire dagli stand per incontrare altri soggetti, che hanno avuto il tempo di approntare le risposte giuste (magari facendo uso delle fonti aperte in Internet). Ipotesi al vaglio degli inquirenti. Quanto basta però a spingere i pm Alessandra Converso e Ida Teresi (sotto il coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Borrelli) a mandare i carabinieri ad acquisire tutte le prove scritte consegnate a dicembre del 2017. Perché proprio la prova di due anni fa? Si parte dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, che puntano l’indice contro uno dei due impiegati finito sotto inchiesta. Lo accusano di essere in grado di chiudere affari nella pubblica amministrazione, di fare piaceri in cambio di denaro. È così che viene aperta un’inchiesta a colpi di trojan, di gps, di pedinamenti, fino a quando viene fuori la storia dell’esame di avvocati.


A svelare tutto, ovviamente a sua insaputa, un genitore che dice di aver versato quattromila euro a «quelli della banda bassotti», senza però ricevere l’aiuto giusto, dal momento che il figlio viene comunque bocciato alla prova scritta. Ne nasce un lungo litigio che si trascina fino allo scorso marzo, nel corso del quale alcuni intermediari provano a far capire che la bocciatura è arrivata perché il ragazzo si «è messo a fare di testa propria», probabilmente non accettando suggerimenti nella fase conclusiva della prova. Un litigio ricostruito nel corso di un’informativa depositata dinanzi al Riesame di Napoli, dopo una mossa a sorpresa messa a segno dalla Procura, con la decisione di sequestrare oltre quattromila compiti. Oltre al genitore deluso (e all’aspirante avvocato), finiscono sotto inchiesta i due dipendenti del Palazzo di giustizia (uno dei quali aveva svolto anche il ruolo di autista di un magistrato al vertice del distretto), ma anche soggetti ritenuti legati al sistema criminale cittadino. Vengono convocati di volta in volta, per ottenere la restituzione dei soldi resi a quelli della «banda», per riottenere quel finanziamento per un servizio (il superamento del test scritto) che non è stato mai realmente offerto al giovane, aspirante avvocato.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino