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Il governo Draghi non subirà scosse. Il momento è troppo delicato e i soldi da investire sono così tanti che a nessuno verrà in mente di tirarsi indietro e meno che mai di far saltare il banco. Salvini sarà sempre Salvini e Letta dovrà rassegnarvisi. Se non ci fossero di mezzo le elezioni presidenziali, Draghi andrebbe filato fino al termine della legislatura. E al pensiero che da gennaio la macchina possa cambiare conducente vengono i brividi, a meno che il conducente non vada al Quirinale e continui a guidarla da lì. Per ora, tuttavia, sono discorsi irreali o almeno intempestivi. Il centrodestra, se saprà essere unito, potrà dire una parola importante e forse decisiva alla fine del settennato di Mattarella.
Come ricordato da Giorgetti fin dall’anno scorso, compresi i Grandi elettori regionali, il centrodestra arriva a circa 460 voti dai quali sarà difficile prescindere.
Rischia invece di affondare impigliato nelle sue stesse regole fuori dal mondo per cui dovrebbe dipendere da una piattaforma Rousseau che ha sconfessato e che si ostina a resistere, anche in tribunale, perché strambi regolamenti glielo consentono. Questa situazione rende difficili anche le alleanze locali con il Pd. Un sondaggio di Alessandra Ghisleri per ‘Porta a porta’ ha dato risultati molto indicativi: il 70 per cento degli elettori Pd vuole l’alleanza con il M5s che il 70 per cento degli elettori grillini non vuole.
Il centrodestra rischia di non approfittare di una situazione per esso così favorevole se continuerà la lotta sotterranea e grottesca tra Salvini e Meloni. Ieri c’è stato un improvviso rinsavimento e vedremo nei prossimi giorni se Besalmel riuscirà a trovare candidati credibili e davvero unitari o si rassegnerà a consegnare alla sinistra i principali comuni italiani.
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