L'ideologia che divide l'Italia tra Nord e Sud

L'ideologia che divide l'Italia tra Nord e Sud
Una contro-storia del federalismo in Italia non è stata ancora scritta, per la buona ragione che neanche sulla sua storia c’è molta chiarezza. Il...

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Una contro-storia del federalismo in Italia non è stata ancora scritta, per la buona ragione che neanche sulla sua storia c’è molta chiarezza. Il centrosinistra ha riformato il titolo V della Costituzione, sugli enti locali, all’alba di questo nuovo millennio, dopodiché sono naufragati i successivi tentativi di Berlusconi e Renzi di mettere mano alla materia. 


Nel frattempo la Lega cambiava pelle, e dopo Bossi, dopo Maroni, diventava con Matteo Salvini virulentemente nazionalista e sovranista. Dalla bocca del segretario della Lega quasi non si ascolta più la parola “federalismo”: figuriamoci la primitiva “secessione”. Il che però non vuol dire che l’assetto disegnato con la riforma costituzionale ormai quasi due decenni fa non sia vigente. Ed è su quella base, così poco presente negli ultimi anni all’opinione pubblica nazionale, che ora Veneto e Lombardia chiedono un’autonomia rafforzata. Cioè, in parole molto povere, di fare coi soldi loro quel che vogliono loro.
È una traduzione forse sgradevole, ma niente affatto lontana dal vero. Tutta la discussione sulle competenze regionali (e le relative risorse) da attribuire o non attribuire, poggia infatti su due Grandi Convinzioni (Le maiuscole sono obbligatorie, vista la perentorietà con cui vengono proposte).

La Convinzione Numero Uno, quella che denuncia i vizi, dice che trasferendo risorse e competenze si migliorano i servizi. Si rendono più efficienti le pubbliche amministrazioni, si riducono gli sprechi. La Convinzione Numero Due, quella che premia la virtù, dice invece che è giusto il principio secondo cui i soldi che vengono da un territorio debbono rimanere in quel territorio.
Se questo è il piano del discorso, meglio non parlare affatto di questione meridionale. Perché la Convinzione Numero Due nega alla radice la stessa possibilità che lo Stato nazionale – anche articolato su base federale – si ponga l’obiettivo di ridurre il divario fra le diverse aree del Paese: quali vincoli di solidarietà o di comunità possono mai esserci, infatti, se l’ordinamento della Repubblica dovesse fondarsi sul principio che ogni territorio bada a sé?

D’altra parte, la Convinzione Numero Uno agisce a rincalzo. Le due Convinzioni, anzi, si sostengono a vicenda: se ai soldi miei ci penso io, e nessuno mi regala un centesimo, allora certo sarò molto più accorto nella spesa. E viceversa: più la mia amministrazione è efficiente, meno ho voglia di finanziare le inefficienze altrui.
Dietro siffatte, anonime convinzioni stanno in realtà i due nomi propri del Sud e del Nord. La Convinzione Numero Uno parla infatti al Sud: è il Sud - si sostiene - che spreca denaro pubblico, che vive di assistenzialismo, che alimenta con le risorse dello Stato una politica clientelare. La Convinzione Numero Due parla invece del Nord: è il Nord che non vuole più saperne di trasferimenti alle regioni meridionali, che vuole tenersi il residuo fiscale, che si considera stufo di pagare per le inadeguatezze altrui.
Ora sono arrivati i Cinque Stelle a dar manforte a questo discorso. Con il no alle grandi infrastrutture, con il no alla Tav e alla Tap, con l’antieuropeismo, con un ecologismo preconcetto che si alimenta di pregiudizi anti-scientifici e anti-industrialisti, con la battaglia per il reddito di cittadinanza e un’ideologia pauperista hanno conquistato un consenso largamente maggioritario nel Mezzogiorno, dando così plastica evidenza alle due Grandi Convinzioni: c’è una parte del Paese che vuol continuare a vivere di sussidi, di spesa improduttiva, e che per questo si oppone alla richiesta delle regioni settentrionali di un’autonomia rafforzata.

Smontare questo discorso non è facile, ma è necessario. Non è facile, perché le due Grandi Convinzioni sono profondamente radicate nel senso comune, e costituiscono parte sostanziale dell’indirizzo preso dalla politica nazionale in tempi di seconda Repubblica. Sono la maniera in cui, in Italia, il federalismo si è fatto pratica amministrativa e di governo. Sono la storia per cui occorre scrivere una contro-storia. Non importa quanto siano errate, non importa quanto sia fedele l’immagine che il successo elettorale del M5S proietta sull’intera società meridionale, né importa se e quanto sia vero che il Sud spreca più del Nord. Non importa se sia vero che il cattivo uso del denaro pubblico è il motivo dell’arretratezza meridionale, né importa sapere se davvero una comunità nazionale possa lasciar cadere ogni proposito perequativo. Le due Grandi Convinzioni agiscono comunque, e continuano a veicolare l’idea che tutti i vizi siano al Sud (che perciò non vuole il federalismo) e tutte le virtù siano al Nord (che perciò lo vuole).


Non è facile, dunque, però è necessario, perché, le due Grandi Convinzioni imperanti, l’attuazione del nuovo titolo V della Costituzione ha lasciato via via cadere gli elementi solidaristici e universalistici che pure erano iscritti nel disegno originario, per quanto pasticciato esso fosse. Se invece si continua a pensare di poter usare il federalismo come la carota per soddisfare gli egoismi del Nord e il bastone per raddrizzare la schiena del Mezzogiorno, senza preoccuparsi di correggere le diseguaglianze o di assicurare parità di diritti sociali fondamentali su tutto il territorio nazionale, allora c’è davvero il rischio che il Paese troppo lungo, infine, si spacchi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino