Facebook comincerà a pagare le imposte in Italia: quella che dovrebbe essere una ovvietà, per una delle più grandi società web mondiali che fattura...
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Si tratta in ogni caso di un piccolo raggio di sole, durante una stagione che rimane caratterizzata da freddo polare. Innanzitutto, sono da verificare i tempi in cui Facebook passerà a una struttura di vendita locale, con ricavi pubblicitari tassati nel Paese in cui sono in effetti realizzati. Inoltre, si tratta pur sempre della scelta di una sola azienda, a fronte di molte altre che, al momento, restano alla finestra. Infine, è molto difficile fare previsioni su quale sarà il gettito derivante da questa operazione. Anche perché nessuna azienda – che vive di profitto - implementerebbe mai una strategia aziendale che la porti a pagare più imposte.
A che cosa è dovuta quindi la scelta di Facebook? Che sia forse merito delle proposte sempre più concrete di introdurre una web tax nei Paesi europei o della riforma fiscale di Trump? Difficile dirlo. Finora le strategie dei governi sono state varie. Qualche governo ha semplicemente deciso di ignorare il problema. Lo hanno fatto in tanti e per troppo tempo. Che ciò fosse frutto di una filosofia per cui la tassazione deprime l’economia o, meno eroicamente, della pressione delle lobby, è ormai chiaro si sia trattato di una strategia iniqua. Altri, come più recentemente l’Italia, hanno realizzato accordi singoli e una tantum a fronte di controlli fiscali. Una strategia comunque miope, perché basata sulla lotta all’evasione – giustissima – ma che lascia scoperto il problema dell’insufficiente tassazione di queste imprese. Forse quella della web tax è finalmente la strategia più corretta, almeno sulla carta. E il Paese più all’avanguardia in materia è proprio l’Italia. Dove però la forma stessa della web tax è ancora in fase di definizione. E non si tratta di questioni di poco conto. Una web tax sugli utili, quindi un’imposta diretta, non dovrebbe in teoria trasferirsi sui consumatori; ma una web tax sui ricavi, quindi un’imposta indiretta, potenzialmente sì. Si tratta di dettagli tecnici ma con rilevanti ripercussioni dal punto di vista della distribuzione del carico fiscale e della giustizia sociale.
La battaglia in Parlamento su questi temi è il segno, da un lato, di una sensibilità del legislatore che è finalmente cambiata; dall’altro lato, tuttavia, conferma la difficoltà e la debolezza degli Stati che pur basando la loro sovranità sulla delega dei cittadini, la utilizzano con severità contro gli stessi e con troppa leggerezza contro i potenti. Perché non si tratti solo di un timido, isolato e fugace raggio di sole, vorremmo quindi regalare per Natale un po’ di coraggio al nostro legislatore: che non si accontenti della carità dei più ricchi, ma che faccia di tutto per realizzare un fisco più giusto.
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Il Mattino