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C'era incolmabile distanza di valori, non solo sull'idea di convivenza civile ma anche sul significato della giustizia, tra i familiari del ragazzo condannato a 20 anni di carcere e i genitori della vittima. Il buonismo alla «Mare fuori» era lontano e appariva solo materia per fiction televisive, perché era chiaro in quell'aula del Tribunale per i minori che il perdono è valore etico che può maturare solo verso chi mostra ravvedimento e comprende cosa significhi togliere la vita a qualcuno. Le tensioni alla lettura della sentenza erano invece assai lontane da una riconciliazione tra genitori contrapposti, troppo distanti erano i valori tra i parenti dell'omicida e quelli della vittima. Si disvelava, in tutta la sua pienezza simbolica, la frattura tra due mondi, ben al di là dei rispettivi legami affettivi. In quell'aula, c'erano le due secolari città. Le due anime raccontate da Mimì Rea, separate da cultura, educazione e posizioni economiche. Quelle che non dialogano e hanno timore l'una dell'altra. La Napoli di una borghesia mai esistita come classe compatta, come sosteneva Aldo Masullo, e la Napoli della plebe diventata proletariato urbano. Quella della «dorata menzogna» analizzata nella sua perpetuazione secolare da Atanasio Mozzillo.
Se esiste un’allarmante questione di legalità, di convivenza civile, di violenza esibita anche sui social, è sempre più profonda la frattura culturale tra realtà cittadine diverse. Due città, che non dialogano. La napoletaneria, esibita nella volgarità e nell'esasperazione di simboli beceri intrisi di luoghi comuni, contrapposta alla napoletanità che affonda radici nella storia, nella cultura, nella coscienza di un'identità vissuta con fierezza mai esibita. Le due città convivono con diffidenza. Nell'armonia perduta, chi sente la sua napoletanità ha paura e timore della napoletaneria, anche se a volte ne è attirato e la emula per quieto vivere o distaccato paternalismo.
La soluzione sarebbe la conoscenza reciproca, abbattendo l’eterno muro che separa differenti realtà tra loro diffidenti.
Felice la scelta di ospitare Geolier non nell'aula Pessina al corso Umberto, ma nella sede di Scampia. Nel luogo cittadino più adatto a far comprendere il significato di questa presenza, anche se le due città non sono mai state divise dall’ubicazione geografica. Da sempre, a Napoli più realtà sociali convivono in tante aree urbane. La distanza è culturale, non geografica, come dimostrano i Quartieri spagnoli o il centro storico, a volte anche le periferie a nord e est della città. Si riuscirà mai a far dialogare e avvicinare i due mondi napoletani, evitare che diventi sempre più diabolica l'attrazione verso la volgarità ignorante e la prevaricazione violenta? La Capria sosteneva che l'assuefazione e la tolleranza sono figlie della paura. Amato Lamberti da sociologo riteneva che la criminalità, alta e bassa, ha funzione di ammortizzatore sociale contro possibili rivolte sociali. Di certo, nella Napoli da record turistico, da Pil in aumento, da forti presenze di immigrati, diventa indispensabile capire che il riavvicinamento di educazione e cultura, laddove è possibile, è l'unica strada per arrivare a un futuro comune e condiviso tra le due città. Un traguardo non semplice, che passa per il dialogo, che non significa buonismo né tolleranza per la violenza e i comportamenti illeciti. E anche Geolier, su questo, può fare tanto. Il rettore Lorito lo sa, perché il rispetto delle regole e la convivenza civile si insegnano. Anche con l'esempio.
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