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Dopo tanto parlare, ecco, finalmente, un testo di riforma del sistema di governo, su cui si può iniziare a ragionare. Sia pure si tratta ancora di una bozza, che è stata condivisa dalla maggioranza politica ma è in attesa del varo definitivo, che avverrà venerdì in consiglio dei ministri.
Da lì uscirà, per iniziare il suo iter parlamentare, il disegno di legge costituzionale governativo, che prevede la nuova forma di governo del premierato elettivo. Una riforma costituzionale con la quale si introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio, che avevo già rappresentato su questo giornale in un editoriale del 9 marzo, quando si parlava ancora di presidenzialismo e di semipresidenzialismo.
Il progetto governativo interessa quattro articoli della Costituzione. Quindi, non uno stravolgimento costituzionale, piuttosto un intervento puntuale su quelle norme che riguardano il capo del governo e la sua maggioranza parlamentare. La disposizione di rilevo è quella che modifica l’art. 94 per prevedere che «il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni». Con l’obiettivo, pertanto, di cercare di garantire la governabilità, attraverso un governo, e il suo vertice, dalla durata certa e stabile, scelto e votato dai cittadini, di fronte ai quali è responsabile per l’intero mandato quinquennale.
Il progetto governativo individua in una legge elettorale con il premio di maggioranza, assegnando il 55 per cento dei seggi nelle Camere, la soluzione che favorirebbe il formarsi di una maggioranza garantita alle liste che sostengono il primo ministro eletto. Se così non fosse, il rischio sarebbe di ripetere la sfortunata esperienza israeliana, che aveva l’elezione diretta del primo ministro ma con un sistema elettorale proporzionale, che ne decretò la sua fine per instabilità parlamentare.
Vi è poi, nel progetto, la cosiddetta norma “anti-ribaltone”: nel caso di cessazione dalla carica del primo ministro, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico a un parlamentare appartenente alla stessa maggioranza che ha sostenuto il primo ministro eletto seppure “cessato”. Qui si può evidenziare una certa incoerenza con l’elezione diretta. Nel senso che il governo nasce dal voto popolare insieme al parlamento e deve durare lo stesso mandato: «simul stabunt, simul cadent», come si dice con formula latina. Perché il governo deve essere di legislatura e quindi legato e collegato alla durata di essa. Il Parlamento può votare la sfiducia al governo e così facendo torna al voto popolare per essere rieletto insieme al primo ministro. Così come il primo ministro dovrebbe avere la facoltà di proporre lo scioglimento anticipato in caso di crisi.
Un ultimo aspetto previsto dal progetto governativo: l’abolizione dei senatori a vita. Si tratta di un istituto vetusto, come ha chiarito l’ottimo e recente volume di Paolo Armaroli su «I senatori a vita visti da vicino» (La Vela, 2023). Il Senato vitalizio sarà riservato solo agli ex presidenti della Repubblica, che sono coloro che hanno davvero illustrato la patria per altissimi meriti.
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