Non ha voluto rinunciare ad essere presente in aula, ma ha ascoltato la requisitoria del pubblico ministero, lì a pochi metri dall’aula di giustizia. Rigorosamente...
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Viene esclusa l’aggravante della premeditazione, perché il delitto del figlio del boss pentito arrivò probabilmente al culmine di un litigio con uomini del suo stesso circuito criminale, ma si insiste sull’aggravante del fine camorristico. Furono 25 le coltellate che vennero sferrate da Luigi Cutarelli, ritenuto tra i giovani e sanguinari fedelissimi del clan di Carlo Lo Russo (che all’epoca era detenuto, ndr). Inchiesta coordinata dai pm Enrica Parascandolo e dallo stesso Woodcock, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Filippo Beatrice, ieri l’atto di accusa. Difesi dai penalisti Domenico Dello Iacono, Vittorio Giaquinto e Annalisa Senese, Cutarelli e Buono attendono la sentenza prevista per il prossimo 13 luglio, in uno scenario investigativo che punta a ricostruire una lunga scia di sangue che avrebbe visto in azione quasi sempre gli stessi protagonisti. Gup Picciotti, non si tratta della prima volta per Cutarelli, almeno a leggere le carte della Dda depositate in questi anni: è stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Pietro Esposito, ma è stato condannato anche per l’omicidio Izzi, mentre è sotto accusa per la morte del 17enne Gennaro Cesarano (estraneo a dinamiche criminali, ucciso per errore).
Una carriera criminale scandita di recente da confessioni estemporanee, tese soprattutto a confermare le accuse che hanno inquadrato il ruolo di Cutarelli in relazione ad alcuni fatti di sangue. Agguati e giustizia, omicidi e condanne, in una traiettoria criminale che ha abbracciato gli ultimi trent’anni di storia cittadina. Erano i signori del contrabbando di sigarette in Montenegro, quelli dei Lo Russo. Poi, negli anni Ottanta la droga, la speculazione edilizia, ma anche guerre intestine e faide aperte per la conquista del proprio potere camorristico. Una lunga stagione criminale che ha visto recitare un ruolo centrale anche allo stesso Ettore Sabatino, che ha contribuito a ricostruire la strategia di espansione del suo gruppo criminale alla fine degli anni Novanta fino allo scorso decennio. In rotta con i Licciardi, i Lo Russo hanno mantenuto il controllo del clan in zona Miano, vera roccaforte dello spaccio di droga. Poi l’incursione nella zona di Capodimonte, ma anche nel rione Sanità, ai tempi dell’alleanza con i Misso, fino alle guerre degli ultimi anni. Per anni, i Lo Russo hanno dominato la città, prima delle retate, le condanne, la stagione dei pentiti. Oggi collaborano con la giustizia i fratelli Salvatore, Mario e Carlo Lo Russo, ma anche Antonio jr Lo Russo, figlio di Salvatore. Quando anche Ettore Sabatino decise di arrendersi e di pentirsi, chiese al figlio Francesco di seguirlo in località protetta, ma la convivenza durò realmente poco. Francesco, appena ventenne, decise di ritornare a Miano, rimase imbrigliato in fatti di droga, fino ad ingaggiare un litigio mortale con un altro soggetto smanioso di conquistare fette di leadership in quel di Secondigliano. Ieri mattina in Tribunale l’ex boss, l’ex killer chiedeva giustizia per il figlio ucciso. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino