Il guazzabuglio ideologico dei talebani del bene pubblico

Il guazzabuglio ideologico dei talebani del bene pubblico
Adolfo Scotto di Luzio e Fabrizio Coscia hanno spiegato sul Mattino, nei giorni scorsi, i motivi per cui è sbagliato dividersi aprioristicamente, privatisti contro...

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Adolfo Scotto di Luzio e Fabrizio Coscia hanno spiegato sul Mattino, nei giorni scorsi, i motivi per cui è sbagliato dividersi aprioristicamente, privatisti contro pubblicisti, nel valutare destinazioni alternative del Monte di Pietà o non ancora sperimentate forme di manutenzione del bistrattato verde nella Villa Comunale.


Temo, però, che certe sagge perorazioni cadranno nel vuoto: privatisti vs pubblicisti è un derby vecchio ma sempre capace di rianimare miracolosamente tifoserie boccheggianti, desiderose unicamente di presidiare ringhiosamente zone del campo immodificabili. Il campo del Novecento, per capirci.

I privatisti sono la bestia nera della sinistra del tipo «Potere al Popolo»: una sorta di prosecuzione del demagistrismo con altri mezzi, di parole d’ordine e mozioni degli affetti destinate altrimenti all’oblio. 

Giù le mani, nere di profitto, dal verde di tutti, profittevole per tutti, recitavano i gagliardi slogan dei manifestanti: mantra rassicuranti, come riescono ad esserlo i richiami all’identità, contro la proposta di affidarne la manutenzione ai privati.

I grandi territori della speranza comunista, concluderebbe un osservatore, che si costringono nel benicomunismo; il barbuto Marx che assume le simpatiche fattezze, sbarbate e levigate, del professor Ugo Mattei; il verde, il verde che non c’è più nella Villa Comunale finora gestita dal Comune, al posto del rosso, anch’esso latitante; il verde comun(al)e, minuscola Amazzonia da preservare contro i rapaci deforestatori invocati dagli immancabili Poteri Forti. 

La polpetta ideologica di tal sinistra modaiola e minoritaria, sintatticamente odorosa di centro sociale ed in perenne bilico tra uno spritz e la ferma dichiarazione di principio, viene impastata con poca carne materialista e parecchia mollica, indigesta, del peggiore pensiero allusivo francese, spruzzando sul composto generose manciate di pepe barricadero e salottiero alla Toni Negri. 

Nel guazzabuglio della contrapposizione manichea il privato, ovviamente, ha sempre torto, mentre il pubblico è santo per definizione. Santo perché l’interesse collettivo deve comunque precedere ed irreggimentare gli spiriti animali dei singoli, egoisti per definizione. Anche quando egoismo significhi, magari, mettere a disposizione dei più, dietro remunerazione, quanto adesso negato a tutti.

I talebani del pubblicismo evocano, ovviamente, i torquemada del privatismo: mela spaccata in due modello “essere primigenio”, sistole e diastole che scandiscono indefettibilmente il bolsoritmo del discorso pubblico odierno. Per quale motivo, domandano i privatisti, al Monte di Pietà non può trovar spazio Enzo Miccio o chi come lui venda sogni di felicità low coast, biglietti per un breve viaggio di andata e ritorno nell’universo dei vip, nel mondo della ricchezza, del lusso così schivato dagli indefessi custodi dell’austero valore borghese del decoro, del rispetto acritico per le originarie destinazioni d’uso degli edifici? La storia, per i più esagitati, è un incubo dal quale occorre risvegliarsi al più presto. La storia, dell’arte o della sensibilità, accumula tempo in un edificio, trasformandolo in qualcosa che vive di vita propria, pazientemente aggiunta alla vita delle pietre ed alla vita di chi quelle pietre calpesta. 

Tutto ciò, nei più irriducibili dei privatisti, è un tratto da cancellare con la penna di un malinteso progresso, di una nefasta concezione dello sviluppo che strombazza di far avanzare le condivisibilissime istanze della redditività su binari destinati a sconquassare, senza rimpianto, il percorso pazientemente sagomato dal tempo. Ecco, mi pare proprio questo il punto: aggiungere nuova vita ad un sito, rispettandone la storia, è ciò che occorrerebbe pretendere da chi chieda di trasformare il tempo trascorso in denaro.

Il resto sarebbe l’occasione, in tal modo leggo le suggestioni di Scotto di Luzio e Coscia, per confrontarsi sulle difficili sfide che pubblico e privato dovranno raccogliere. Pubblico e privato: yin e yang, istanze complementari di un’inedita visione degli interessi collettivi. 

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Il Mattino