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Prima della pandemia l’occupazione in Italia era caratterizzata da un tasso pari al 59% che, se confrontato con quelli degli altri Paesi europei, la collocava in fondo alla graduatoria (con una media Ue del 69% circa, meglio soltanto della Grecia al 57% e con la Germania lontana al 77%, fonte Eurostat).
Come se non bastasse, il nostro Paese registrava un tasso di disoccupazione (poco meno del 10%), molto distante dalla media europea (intorno al 6%), quello giovanile era addirittura confinato al penultimo posto in Europa (poco meno del 30%, migliore soltanto della Grecia, 35% circa), come pure quello di genere (9% circa quello degli uomini e poco più dell’11% quello delle donne, contro rispettivamente il 6% e il 7% della media Ue, fonte Ocse) e il tasso di inattività – “specchio” dell’enorme difficoltà del Paese in tema di lavoro – era del 35% circa, anch’esso “staccato” di almeno 10 punti percentuali dalla media Ue. Ora la situazione non è molto cambiata, anzi il Covid l’ha ulteriormente aggravata con la perdita calcolabile in circa un milione di occupati.
Questi sono ripartiti quasi totalmente tra indipendenti e dipendenti a tempo determinato (la componente a tempo indeterminato non ha subìto forti “scossoni”) – con un loro parziale recupero (circa 500mila, più evidente nei contratti a termine) in questi ultimi mesi – e anche nel confronto europeo la condizione non appare affatto migliorata (attorno al 58% il nostro tasso di occupazione contro il 68% della media Ue e con la Germania già al livello pre-pandemico).
Al tempo stesso però non devono essere considerati accessori i possibili provvedimenti dal lato della formazione – caratterizzandoli per un irrinunciabile processo di riqualificazione del capitale umano, visto che gli occupati in settori ad alta tecnologia rappresentano non più del 4% del totale (dati Istat) – e da quello dell’istruzione, considerato che la domanda di nuovo lavoro verte in prevalenza su figure professionali giovani che il sistema educativo stenta a preparare (come i dati Unioncamere dimostrano ampiamente, considerato che è introvabile circa il 40% dei profili richiesti). Insomma, il tema del lavoro appare molto complesso e spetta a tutti gli interessati il compito di operare nella stessa direzione, con condotte comuni coordinate e guidate da una sana coerenza alla quale non deve mancare la necessaria attenzione verso il sempre vivo problema delle disparità territoriali e dei relativi fabbisogni.
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