Abbiamo assistito con un certo sconcerto, venerdì sera in consiglio comunale, all’attacco sferrato dal sindaco De Magistris contro il Mattino. Intollerante alle...
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Naturalmente il sindaco è libero di nominare chi ritiene alla guida di questa partecipata del Comune così importante («È vero, non so niente di Asìa, ma so gestire le persone, e De Magistris mi ha scelto per questo», ha ammesso la stessa neopresidente De Marco in un’intervista al nostro Paolo Barbuto). Allo stesso modo, il principale giornale della città è libero, anzi ha il dovere - se ne faccia una ragione De Magistris - non solo di descrivere i curriculum professionali degli amministratori, ma anche di fare le pulci alle scelte del sindaco e dell’armata brancaleone che compone oggi la sua maggioranza.
La penosa sceneggiata di De Magistris contro il Mattino dice molto sul suo modo di affrontare le critiche. Ma anche sul suo particolarissimo talento nel rivoltare le frittate.
Dopo aver amministrato Napoli guerreggiando praticamente contro tutti, dopo aver litigato con l’universo mondo, dopo essere entrato in rotta di collisione con tutti i governi che si sono succeduti, dopo aver fatto dello scontro istituzionale il suo mantra, dopo aver defenestrato decine di assessori solo per motivi di opportunismo politico, oggi De Magistris accusa il giornale della città di essere contro la città. Una simile fesseria non meriterebbe di essere commentata se non provenisse dalla viva voce (e nel luogo che rappresenta la città: il consiglio comunale) di un sindaco che ha fatto della parola “contro” la vera cifra della sua azione amministrativa. Che il Mattino voglia il bene di Napoli non lo dimostra solo la sua storia e gli straordinari professionisti che vi lavorano, ma il rapporto di fiducia stabilito nel tempo con i lettori, che al giornale si rivolgono per segnalare tutto quello che in città non funziona o funziona male. Lo dimostrano le pagine e pagine dedicate alla Napoli svilita, che nascono dalla rabbia dei cittadini per una città meravigliosa che butta via, ogni giorno, la sua bellezza, la mortifica e la lascia svilire. Fino, in alcuni casi, ad annientarla. Se il sindaco leggesse o si facesse leggere queste pagine, anziché srotolare con fanciullesco entusiasmo la favola populista di una rivoluzione che alberga solo nella sua testa, forse le cose andrebbero meno peggio di come vanno: forse qualcuno correrebbe i ripari.
Mentre De Magistris, in tutti questi anni, e inseguendo una sceneggiatura nota, continuava a spostare il suo ruolo da una dimensione amministrativa a una dimensione esclusivamente politica, lasciando che i problemi veri della città gli scivolassero addosso, questo ed altri giornali gli chiedevano doverosamente conto delle cose realizzate e di quelle non realizzate, delle promesse fatte e di quelle dimenticate. Gli chiedevano di puntare sulla concretezza anziché sugli slogan e sui tweet a palle incatenate: una narrazione puramente estetica che sempre più spesso rappresenta la foglia di fico dietro la quale si nasconde il disastro di un’esperienza amministrativa. Gli chiedevano - questo e altri giornali - di raccogliere i rifiuti dalle strade, di mettere in sicurezza i palazzi, di rilanciare il welfare, di occuparsi degli alberi che crollano sui cittadini e delle strade che si allagano a ogni acquazzone, di riparare le buche, dalle quali tracimano ormai prati fioriti, di chiudere i cantieri che a Napoli restano aperti in eterno, di far circolare gli autobus, che sono una vergogna indegna di una città civile. Di non perdere di vista quel mondo reale che continua a irrompere nel suo universo fumoso.
Di governare la città, insomma. O, quantomeno, provare a farlo, anziché cianciare di criptovalute, o evocare fantomatiche flotte alla Masaniello da schierare in difesa dei migranti, o blaterale del diritto all’autodeterminazione del popolo napoletano, o riversare quotidianamente su una città esausta i suoi post autocelebrativi, e proclami pseudorivoluzionari che sembrano arrivare direttamente dal Paese delle Fiabe.
Questo è il compito di un giornale che vuole bene a Napoli. Chiedere a chi amministra di svolgere rigorosamente il proprio dovere vuol dire essere contro la città, non amarla? Siamo convinti che significhi esattamente il contrario.
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Il Mattino