Lo scorso anno l’Europa ha adottato un’agenda europea sulla migrazione in cui ha formulato le azioni prioritarie da attuarsi per far fronte l’emergenza....
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Dopodiché, essendoci tutto questo, ci sono i sindaci. I sindaci delle città italiane, piccole e grandi, che in buon numero sono pure in campagna elettorale, e a cui riesce difficile partecipare a una gara di solidarietà che temono abbia per loro un costo in termini di consenso. È forse miope – senza forse: lo è senz’altro – avere una così corta vista e ragionare su come affrontare un problema epocale, di così ampie proporzioni, in considerazione del prossimo 5 giugno. Ma di simili miopie, e di egoismi e di paure, insicurezze - a volte legittime, altre volte no –, di interessi poco lungimiranti e pure però di difficoltà obiettive, legate a mancanza di strutture, di mezzi, di disponibilità finanziarie, anche di tutte queste cose è fatto lo spazio Schengen. Cose che, peraltro, non se ne andranno con il 5 di giugno. Allora: deve sicuramente crescere in tutti il livello di consapevolezza della sfida, altrimenti non ce la si fa. Ma deve compiere uno straordinario salto di qualità pure la risposta organizzativa: la risposta pratica, concreta, operativa. Perché i barconi continuano a prendere il mare. Oltre la linea dell’orizzonte che noi vediamo da qui si continua a combattere, e a morire. Facciamo allora che le affermazioni di diritto non si risolvano in petizioni di principio. E che fra le risoluzioni in dozzine di pagine del Parlamento e l’assessore del comune che deve trovare dalla sera alla mattina strutture di accoglienze idonee, qualcosa ci sia, che leghi piccoli interessi e grandi ideali, e il breve e il lungo periodo, e le paure di perdere tutto e la prospettiva di costruire invece qualcosa. Quella cosa c’era, si chiamava politica. Sarebbe bello dimostrare che serve ancora.
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Il Mattino