La coscienza nazionale non può essere regionalizzata

La coscienza nazionale non può essere regionalizzata
L’agenda politica ha i suoi totem. Uno di questi è il regionalismo differenziato, fondamentalmente un divorzio tra le autonomie regionali e lo Stato nazionale, alla...

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L’agenda politica ha i suoi totem. Uno di questi è il regionalismo differenziato, fondamentalmente un divorzio tra le autonomie regionali e lo Stato nazionale, alla cui coesione e rafforzamento quelle autonomie dovevano servire, nell’ottica di una cittadinanza eguale di tutti gli italiani che la Repubblica nata dalla resistenza si impegnava con la sua Costituzione a garantire. Un divorzio che si è provato a realizzare in modo consensuale, con una previsione di diritto privato nel contratto di governo e nell’assoluta non trasparenza dei suoi percorsi. Fortunatamente l’attenzione, su questo snodo cruciale della legislatura, e della vita della Repubblica che fin qui abbiamo vissuto, pare stia montando sempre di più. Un contributo credo sia stato dato da un folto gruppo di intellettuali napoletani con l’appello lanciato lo scorso ventuno gennaio rivolto alle forze politiche innanzi tutto del Mezzogiorno “Non voltatevi dall’altra parte”. Ho motivo di credere che sia stato raccolto, e, essendo tra i promotori, ne siamo orgogliosi. Era un dovere farlo, il minimo dovuto al nostro sentimento di cittadinanza italiana, prima ancora di ogni sollecitazione meridionalista.

Perché questo è il punto capitale. Con i futuro del Mezzogiorno è in gioco il futuro del Paese. E forse questo epicentro napoletano – di professori, parlamentari, istituzioni, forze politiche – del sommovimento delle coscienze che si sta realizzando sulla questione dell’autonomia, senza neanche che se ne abbia ancora piena consapevolezza, sta dando a Napoli – in questo inedito sforzo collettivo – l’opportunità di essere la capitale morale del Paese, alzando la bandiera non delle rivendicazioni territoriali, ma delle ragioni della costruzione storica e ideale dell’Italia una, eguale, solidale. 
Perciò è importante che questo sforzo continui e si accentui, propagandosi a tutto il Paese, con la richiesta irrinunciabile di affidare al Parlamento, nella pienezza delle sue prerogative, la materia, e la tutela della costituzionalità del provvedimento, innanzi tutto garantendo eguali livelli di diritti sostanziali a tutti i cittadini italiani, prima ancora di discutere modifiche al già variegato regionalismo italiano.
Il presidente Zaia torna a scrivere ai meridionali, offrendo con la ricetta del regionalismo rafforzato, il patrocinio morale del modello veneto alle popolazioni del Sud per riscattarle dalle colpe delle loro classi dirigenti; un elegante eufemismo per dire è “colpa vostra”, dovete essere più responsabili, e fondamentalmente “lasciateci fare” a noi del Nord. Al di là di elementi di verità che ci sono in ogni ragionamento sul Sud e sulle sue difficoltà, sostanzialmente demagogia a buon mercato, come le analisi della Svimez possono ben argomentare. Ma Zaia si guarda bene dal chiedere per i giornali del Veneto un contributo d’opinione che non sia leghista-orientato. Se chiede, lo forniremo. Poi magari lo discutiamo in campo neutro, e, se ce lo permette senza ricatti (“o ci date l’autonomia o crolla tutto”), in Parlamento. La verità non dovrebbe avere paura dell’aria libera del dibattito parlamentare davanti a tutto il Paese.

Ma vorremmo chiudere con due osservazioni. Una contro il totem del regionalismo – fieramente avversato in Costituente da Nitti, Croce, Marchesi, Togliatti, Nenni, Gullo – per dirgli che l’Italia tutta, anche il Veneto, è stata ricostruita in assenza di regionalismo, cioè fino al ’70. Poi diciamo così, un po’ di dissipazione del bilancio pubblico con le regioni c’è stata. Ci facesse anche il presidente Zaia mente locale. Ma più in generale è la tenuta complessiva dello Stato che un regionalismo ben temperato – sempre che sia temperabile – dovrebbe garantire. È difficile immaginare regionalizzati, oltre che i diritti di cittadinanza, materie come energia, ambiente, infrastrutture, sicurezza, scuola, università, sanità. Per dirne solo alcune. Ma ce n’è una di materia che non può essere sicuramente regionalizzata, se si vuol far salva l’unità del Paese. E questa è la coscienza nazionale. Immagini il presidente Zaia, più ancora che l’insulto dello stipendio differenziato dei docenti, i programmi scolastici della sua regione affidati ad un assessore cultore di storia locale. Gli basterebbero un paio di cicli scolastici per cancellare nelle nuove generazioni venete la coscienza, il sentimento, la consapevolezza dell’unità nazionale, e inoculare con accorta pedagogia la “nazione” veneta, l’indipendentismo regionale. È il percorso tragico vissuto dall’autonomia catalana. Ci pensi presidente Zaia. Il Leone di San Marco non è possibile. Forse ancora solo il tricolore, in un concerto di un’Europa certo diversa, ma fermamente unita. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino