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L’evoluzione sul campo dellla guerra in Ucraina, a parte le notizie sulla fallita controffensiva di Kiev e sul numero di missili e droni lanciati soprattutto da parte russa, trapela poco. Invece le recenti vicende interne dei due Stati e il cambio di rotta delle strategie di alcuni attori internazionali potrebbero trasformare lo scenario geopolitico. Analizzando la politica interna ucraina, gli apparati statali, che non si stancano mai di chiedere aiuti finanziari, hanno commesso un passo falso.
E' di pochi giorni fa la notizia che alcuni funzionari, in particolare del ministero della Difesa, sono stati indagati per la sottrazione di 40 milioni di dollari destinati all’acquisto di armi, avvenuta nell’estate del 2022. Dall’inizio del conflitto questo non è il primo caso di corruzione che emerge. E così il presidente Zelensky rischia di vedere appannata la sua credibilità: gli si potrebbe contestare che i sistemi di controllo, vigilanza e supervisione degli apparati hanno gravi falle che la dicono lunga sulla graduale costruzione del processo di “democratic institution building” in un Paese che ha già ottenuto lo status di candidato dell’Unione europea. Ci sono dei principi e dei valori imprescindibili che l’Ucraina deve dimostrare di avere, nel momento in cui si espone chiedendo miliardi di aiuti agli alleati e di entrare nei consessi internazionali.
Analizzando la politica interna della Russia, invece, è evidente che le sanzioni dell’Occidente non hanno piegato del tutto il suo sistema economico, ma diversi squilibri possono minarlo.
A metà gennaio il quotidiano tedesco Bild, citando un “documento segreto” del ministero della Difesa tedesco, ha prospettato uno scenario di guerra (estate 2025) Russia-Nato, e la Bundeswehr (l’esercito tedesco) si starebbe preparando - sempre secondo Bild - addirittura a un conflitto armato contro Mosca. A fine gennaio, Estonia, Lettonia e Lituania hanno lanciato alle frontiere con Russia e Bielorussia la “difesa comune”: bunker, protezioni anticarro e mine per fermare al confine un eventuale offensiva; una mossa che segue le recenti minacce di Putin contro i Paesi baltici. Sempre di pochi giorni fa è la notizia che anche il Regno Unito si starebbe preparando a uno scenario di guerra. Il generale Sanders, capo di stato maggiore dell'esercito inglese, ha sostenuto che i cittadini britannici potrebbero essere chiamati, in un futuro non lontano, a combattere in quanto l’attuale esercito del Regno Unito ha un numero ridotto di effettivi. Segnali poco tranquillizzanti: negli ultimi giorni anche alti ufficiali della Nato avevano evocato una situazione del genere, a partire dall'ammiraglio olandese Rob Bauer, capo del Comitato militare dell'Alleanza atlantica, secondo cui «la pace non è più scontata». Non è un caso che, pochi giorni fa, il segretario di Stato americano Blinken, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il segretario generale della Nato, Stoltenberg, ha spiegato che «le porte della Nato sono aperte, restano aperte, anche per l’Ucraina». Nell’attuale congiuntura politica, però, nessuna potenza al mondo vorrebbe uno scontro diretto con Mosca che provocherebbe la terza guerra mondiale; tuttavia, da più parti vengono lanciati messaggi del genere per sollecitare la fine di un conflitto che si è prolungato troppo e al di là di ogni aspettativa.
Nello scacchiere geopolitico internazionale qualcosa sta cambiando: la Russia è tornata a esprimere il suo carisma di impero e fa paura. Mentre all’inizio del conflitto ha dimostrato debolezza, adesso sta palesando la sua forza, politica e militare. È emblematico che a fine gennaio anche gli Stati Uniti, nonostante il blocco dei fondi al Congresso, abbiamo rimodellato - secondo il Washington Post - la loro strategia di lungo periodo per l’Ucraina che prevederebbe cinque pilastri: la rinuncia alla riconquista dei territori perduti; il sostegno, oggi, alle operazioni militari difensive; la creazione, in futuro, di un forte esercito ucraino come deterrente per nuove aggressioni russe; il rafforzamento dell’economia (apparato industriale ed esportazioni); ed infine il sostegno al processo di “institution building”. Gli Stati Uniti, insomma, non vedono l’ora di chiudere il fronte ucraino e di far terminare il conflitto. Non attraverso una guerra allargata, ma sul piano strettamente negoziale.
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