La Sanità e i diritti negati al Sud

La Sanità e i diritti negati al Sud
Una tac al ginocchio? In convenzione sono necessari circa 60 giorni di attesa. Similmente per una risonanza magnetica. Un prelievo sanguigno? Beh, conviene effettuarlo nei primi...

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Una tac al ginocchio? In convenzione sono necessari circa 60 giorni di attesa. Similmente per una risonanza magnetica. Un prelievo sanguigno? Beh, conviene effettuarlo nei primi cinque o sei giorni del mese, altrimenti i laboratori convenzionati terminano il budget e bisogna pagare di tasca propria. 

Anche i pazienti oncologici devono pagare, in Campania, per mantenere lo standard di controlli necessari a modulare le terapie. Una vergogna. Una situazione prodotta dalle restrizioni all’ammontare di prestazioni che le strutture private convenzionate possono erogare, in presenza di una evidente incapacità delle strutture pubbliche di fornire un’assistenza sanitaria tempestiva. Tornerò successivamente sulla sanità convenzionata, che fiorisce così bene in regioni come la Campania e la Sicilia. Tornerò successivamente su di essa perché è il caso d’interrogarsi, prima o poi, su quale sia la direzione del nesso di causalità: sono le inefficienze della sanità pubblica a dare la stura allo sviluppo di quella convenzionata, o vale l’opposto? Per il momento affronto un’altra questione, relativa alle risorse complessivamente disponibili. Il presidente De Luca ha messo sotto accusa la ripartizione dei fondi per il finanziamento dei servizi sanitari regionali. A suo parere sarebbe in atto una «rapina» ai danni dei cittadini campani. 

Ora, a prescindere dalle inefficienze di varia natura che storicamente si sono accumulate per la sciattezza e le ruberie, e tenuto conto che la bacchetta magica non sarebbe purtroppo disponibile neppure se alla «rapina» si ponesse un freno, occorre chiedersi: ha ragione De Luca a protestare oppure no? 

A mio parere sì; ma l’alternativa da proporre non dev’essere basata su una rivendicazione «pesistica», ma su una concezione del tutto nuova alla base dell’attribuzione delle risorse. 

Dunque: in principio c’è una legge statale, che, tenuto conto dell’andamento dell’economia, dei vincoli di finanza pubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni (LEA) da garantire ai cittadini italiani, stabilisce l’ammontare annuale complessivo di finanziamento del settore sanitario. Una volta stabilito, il quantum da destinare al finanziamento della sanità dev’essere ripartito tra le regioni. Ora, il criterio più semplice per il riparto sarebbe quello capitario. In base a tale criterio, la quota di risorse a disposizione di ciascuna regione dovrebbe riflettere la quota di popolazione italiana ivi residente. In altri termini, se in una regione vive il 10 per cento dei cittadini, a tale regione dovrebbe essere destinato il 10 per cento delle risorse. Sarebbe questo un criterio equo per la ripartizione dei fondi? In Italia si è ritenuto di no. Per alcune tipologie di assistenza – tipicamente rientranti in quella ospedaliera e specialistica – uno non vale uno. Quanto vale una persona per il riparto dei fondi lo decide l’età. E dunque, con i criteri di pesatura adottati, occorrono circa tre persone d’età inferiore a un anno per compensare un adulto d’età compresa tra i 45 e i 64 anni. Per comprenderci, se occorre dividere mille euro, e in Campania la popolazione è costituita da soli tre bambini con età inferiore a un anno, mentre in Piemonte vive solo una persona di 50 anni, allora le risorse saranno ripartite in modo eguale tra le due regioni, nonostante in Campania vivano tre persone e in Piemonte solo una. 

Non deve quindi sorprendere se, nel 2020, le risorse pro-capite attribuite alla Campania furono pari a 1837 euro, contro i 2023 euro della Liguria (in cui però l’invecchiamento condiziona fortemente la gestione del sistema sanitario regionale, come ha concesso anche De Luca), i 1919 euro del Piemonte e così via (anche alcune regioni del Sud, Molise e Basilicata, si collocano al di sopra della Campania).

Il criterio dell’età ha le sue ragioni. È evidente infatti che con l’età cresce il bisogno di assistenza sanitaria e dunque i costi a carico del sistema. Ma per la pesatura delle persone, come per quella delle vacche, d’altronde, esistono vari criteri. Il criterio della pesatura per età piace di più al Nord, perché la popolazione è mediante più anziana, e fu appoggiato con favore quando la Lega era Lega Nord, e guardava più alla Lombardia che all’Ungheria. La Campania potrebbe insistere per correggere questo stato di cose chiedendo al Governo - e alla Conferenza Stato-Regioni – di introdurre un complementare sistema di pesi, che prenda in considerazione qualche altro indicatore critico - come il tasso di obesità - in modo da correggere gli squilibri nell’attribuzione dei fondi. Questa è la via che sarà probabilmente esperita; ma è una via sbagliata.

Meglio sarebbe riconsiderare l’attribuzione delle risorse alla luce di quello che, a parere mio e degli altri colleghi con cui ho lavorato sul tema (tra cui Antonio Abatemarco, Massimo Aria e, soprattutto, la compianta Francesca Stroffolini), è il criterio cardine per valutare l’equità con cui i destinatari delle cure sono trattati dal sistema sanitario di riferimento; ovvero, il criterio di uguaglianza potenziale nell’accesso alle prestazioni. 

Tale criterio stabilisce che l’accesso alle prestazioni sanitarie debba avvenire su di un piano di parità, a prescindere dalle caratteristiche dell’individuo che usufruisce delle prestazioni stesse. Dal punto di vista pratico, ciò significa che i costi privati che si frappongono all’ottenimento di prestazioni di qualità adeguata, debbono essere uguali per tutti i cittadini. Se questo non accade, se una parte della popolazione è costretta ad affrontare esborsi onerosi, costosi viaggi della speranza per ottenere le prestazioni di appropriata qualità cui avrebbe diritto, occorre intervenire sull’allocazione complessiva delle risorse in modo da compensare lo svantaggio. 

Dal punto di vista politico la Campania potrebbe anche sventolare i progressi ottenuti tramite la cura per il contenimento dei deficit sanitari. Una cura non indolore, se si considera che le politiche di contenimento della spesa hanno generalmente depresso la qualità dell’offerta sanitaria regionale, stimolando una sostenuta emigrazione di pazienti in cerca di cure adeguate; forse migliori, probabilmente più costose; certamente non ottenute su di un piano di parità con i cittadini più fortunati di altre regioni. 

 

 

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Il Mattino