La studiata metamorfosi dell’avvocato del popolo

La studiata metamorfosi dell’avvocato del popolo
Il governo finisce qui, e il cittadino Giuseppe Conte, che un anno fa, «senza pregresse esperienze politiche», si presentava al Senato per riceverne la fiducia,...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il governo finisce qui, e il cittadino Giuseppe Conte, che un anno fa, «senza pregresse esperienze politiche», si presentava al Senato per riceverne la fiducia, è salito sul Colle più alto della Repubblica per rimettere il suo mandato.


Non è stato, il suo, il discorso di un uomo che considera terminato il suo impegno politico, anche se è difficile capire come una diversa maggioranza possa mai affidarsi allo stesso Presidente del Consiglio. Magari altri ruoli, diverse collocazioni…: con un profilo di impeccabile uomo delle istituzioni, e la durissima contrapposizione alla Lega e a Matteo Salvini, Conte è diventato ieri, per i Cinque Stelle, una «perla rara». E, certo, per i posti in prima fila ora c’è anche lui.

Era cominciata in ben altro modo. 5 giugno 2018, Conte esordisce dinanzi alle Camere: «Il programma di governo, i cui contenuti anche chi vi parla ha condiviso – pur in via discreta – sin dalla fase della sua elaborazione». Come sarebbe «anche»? Si era mai visto un capo di governo assicurare al Parlamento che il programma per il quale chiede la fiducia è condiviso «anche» da lui? E da chi, sennò? In effetti, è andata a lungo proprio così: c’erano Salvini e Di Maio, i due vicepremier, su ogni partita, su ogni tema in agenda. E poi c’era lui, «anche» lui. Di lato, ma comunque dentro l’inquadratura. Determinato a entrare nella parte, a fare il monaco avendo ormai indossato l’abito, a calarsi nei panni, inventati per l’occasione, di «avvocato del popolo».

Quanto è durata la perplessità circa la sua inadeguatezza? Forse non più di quanto abbiano circolato, all’inizio, i dubbi sul suo curriculum, sapientemente accresciuto di caratura con qualche esperienza internazionale in più. Sobrio e misurato, Conte ha però sempre avuto dalla sua sondaggi favorevoli, ed è stato abile ad accreditarsi come punto di equilibrio fra le intemperanze leghiste e i velleitarismi grillini. I 5S gli hanno messo alle calcagna Rocco Casalino, come portavoce, e la Lega ha portato Giorgetti a Palazzo Chigi, come sottosegretario? Conte non si è lasciato deprimere. E quando Casalino ha preso qualche inciampo, e Giorgetti ha smesso di credere nelle fortune del governo, è rimasto lui: non a indicare la via, questo no, ma perlomeno a tenere la strada, cercando di evitare le sbandate.

I giornali hanno cominciato così a parlare di un governo uno e trino: due contraenti, Lega e 5S, che si intestavano ciascuno le proprie misure – porti chiusi per gli uni, reddito di cittadinanza per gli altri; decreti sicurezza per gli uni, lotta alla corruzione per gli altri – e due o tre figure indipendenti, dal profilo tecnico, indispensabili punti di riferimento per il Quirinale e per Bruxelles: Tria, Moavero e, appunto, Conte.

A novembre il premier appare per la prima volta in uno studio televisivo, su La7: una piccola consacrazione (con Casalino ben presente alle sue spalle, però). La domanda con cui Giovanni Floris comincia l’intervista si rivelerà profetica: «Iniziano a litigare, Lega e Cinque Stelle…». Ma Conte dà subito un gran saggio di prudenza, dimostrando di avere appreso bene l’arte – un tempo attribuita a navigati democristiani del calibro di Arnaldo Forlani – di usare gli eufemismi più blandi, e di parlare a lungo dicendo «prope nihil», quasi nulla. Niente litigi, dunque: siamo solo «intenti a meditare la soluzione tecnica migliore». Et voilà.

Conte, insomma, non solo la sfanga, ma a parte un paio di gaffe (quando definisce il popolo «l’insieme degli azionisti che sostengono questo governo» - e tutti gli altri? -, e quando evita di pronunciarsi su Trump per non interferire sulle presidenziali USA: nientemeno!), è ormai così convinto di sé che non ha timore di rivendicare ad alta voce, come cosa del governo e come cosa sua, che appartiene cioè alla sua stessa fisionomia intellettuale, i tratti ideologici che darebbero la cifra distintiva dell’esperienza politica in corso, il sovranismo e il populismo. 
Ora, fateci caso: è proprio quello che è mancato del tutto dal discorso di ieri in Senato. Conte ha difeso i suoi ministri, l’operato del governo, le cose fatte e quello che si sarebbero potute fare se il governo non fosse caduto: un passaggio lo ha dedicato persino all’energia dei moti ondosi, che dobbiamo esser bravi a sfruttare. Ma la battaglia culturale, politica e ideologica sotto la cui insegna aveva collocato sé, e l’autoproclamatosi «governo del cambiamento», quella nelle sue parole non c’è più.

Cosa è successo? È successo che da novembre ad oggi Conte si è sempre più spostato dalla linea di fuoco grillo-leghista: che si trattasse dell’Unione Europea o della Tav, della faccenda dei porti o dei numeri a bilancio, via via che si sollevava il mare delle polemiche – e cosa è stato questo 2019, se non un’ininterrotta polemica fra le due forze politiche? – Conte si ritagliava il profilo il più istituzionale possibile: quello che potrebbe più facilmente tornargli utile di qui in avanti. 

Fino allo showdown di ieri, consumato con un atto di accusa durissimo nei confronti del ministro dell’Interno. Tutto il populismo scomposto di quest’anno di governo sarebbe dunque imputabile al solo Salvini, ed oggi si apprende che riservatamente Conte non ha mai smesso di impartire al ministro leghista lezioni di galateo istituzionale, di laicità e di morale. Infine di coerenza, mantenendo le dimissioni nonostante la mossa dell’ultimo minuto di Salvini che ritira incredibilmente la mozione di sfiducia.


E così il cittadino Conte è definitivamente cambiato: la pregressa esperienza politica che gli mancava ora ce l’ha. E confida, forse, di poterla usare, magari per vivere un altro «anno bellissimo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo completo su
Il Mattino