«Tortora fu stritolato da un meccanismo complesso: non tutte le responsabilità sono da attribuire a Pasquale Barra, ma ci furono colpe anche da parte di chi lo seguì, di chi...
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Come si arrivò a quello che viene giudicato uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia italiana?
«Non si fece ricorso al criterio basilare del giusto processo: non furono fatte tutte le necessarie verifiche. Ma per capire fino in fondo bisogna storicizzare la vicenda e riportarsi a quel tempo. Nei primi anni Ottanta non c’erano ancora regole per gestirle i collaboatori mentre si era formato un clima generale favorevole al proliferare le accuse. Ma non bisogna nemmeno dimenticare che il processo era in parte accusatorio e in parte inquisitorio: la prova nella prima fase e nella sua genesi era sottratta a qualsiasi controllo da parte della difesa. Il pm e il giudice istruttore esaminavano i testi da soli nel segreto di un ufficio. Mancava un controllo immediato».
Ma Tortora fu accusato da una decina di pentiti.
«Certo, quando si resero conto di poter lanciare accuse impunemente utilizzarono il meccanismo a proprio vantaggio. Si trattava di persone, a cominciare da Barra, che non avevano nulla da perdere».
Come cominciò?
«In un lunghissimo elenco di affiliati c’era il cognome Tortora quando il magistrato lesse la lista a Pandico commentò: ”Questo è il cognome del presentatore”. E il camorrista rispose: ”Si è proprio lui”. Non era vero: dell’organizzazione di Cutolo c’era un altro Tortora che era il cassiere del clan e fu successivamente condannato a Roma. Ma a lui non fece mai cenno nessun collaboratore».
Bastò così poco?
«Ci furono anche altre circostanze sconcertanti. A Lecce fu rinvenuta l’agendina di un altro affiliato, Giuseppe Puca, sulla quale c’era il numero di telefono di un tal Tortona. Il giudice istruttore non verificò a chi appartenesse. Poi si scoprì che la rubrica era stata scritta dalla compagna di Puca. Intanto erano arrivare altre accuse da parte ci altre persone. In quei momenti sembravano prendere corpo e consistenza delle tesi che alle verifiche approfondite fatte successivamente sono risultate completamente false. Ma la responsabilità di quella vicenda è collettiva». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino