Le città ideali e il racconto miope sei sindaci

Le città ideali e il racconto miope sei sindaci
 Quando Maurizio Valenzi divenne sindaco di Napoli dopo le elezioni del 1975 dovette fare i conti con una prima guerra di camorra con lo scontro tra l’organizzazione di...

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 Quando Maurizio Valenzi divenne sindaco di Napoli dopo le elezioni del 1975 dovette fare i conti con una prima guerra di camorra con lo scontro tra l’organizzazione di Cutolo e quella dei suoi avversari. In Campania ci furono 49 morti nel 1975, 148 nel 1980, fino al record di 265 nel 1982. Di questi omicidi almeno un quarto avvennero a Napoli città. Come reagì Valenzi? Con una dichiarazione sorprendente: «Vengono ad ammazzarsi a Napoli, ma la città non c’entra niente in questa guerra».


E quando toccò ad Antonio Bassolino, i morti ammazzati non furono da meno: tra il 1993 e il 2000 si scatenò un’altra guerra all’interno dei clan che avevano sconfitto Cutolo fino al consolidarsi dell’egemonia della cosiddetta “Alleanza di Seecondigliano”. Ci furono decine e decine di morti, eppure è difficile trovare dichiarazione di Bassolino sull’argomento, quasi che parlandone si potessero oscurare gli evidenti passi in avanti che stava facendo la città nella considerazione nazionale e internazionale.

E i dieci anni di sindacatura della Iervolino sono stati contrassegnati dalle guerre tra i Di Lauro e gli “scissionisti” con centinaia e centinaia di morti ammazzati. La Iervolino era stata ministro degli interni, ma non diede da sindaco un contributo notevole ad individuare una strategia nazionale in grado di farvi fronte. L’elezione di De Magistris ha coinciso con l’esplodere della seconda guerra di Scampia e con l’emergere della cosiddetta “paranza dei bambini” e del fenomeno delle “stese”.

Insomma, ad ogni ciclo politico nuovo che si è manifestato a Napoli non è stata mai risparmiata qualche guerra di camorra, nonostante in tutti questi anni non si siano riscontrati rapporti organici tra chi ha governato la città e i clan in lotta. Le bande di camorra in città possono vivere e lucrare anche senza queste stabili relazioni. L’interruzione delle relazioni politiche tra criminalità e ceto di governo a Napoli non è, dunque, un fatto recente, attribuibile a De Magistris e alle sue giunte, eppure le camorre non sono state sconfitte, né hanno allentato la loro presa sugli affari illegali (e anche su molte attività legali) dei quartieri napoletani.

Questa plurisecolare presenza, questo abbarbicarsi della malavita alle pieghe della società e dell’economia napoletane (“come una cozza allo scoglio”) meriterebbe qualche riflessione più approfondita soprattutto da parte del sindaco (che è stato anche un magistrato) del quale apprezzo gli sforzi di migliorare le cose nelle attuali difficili condizioni. Affermare che siamo vicini o prossimi alla sconfitta delle bande di camorra è un bell’auspicio e niente più: ma questa previsione cozza drammaticamente con la situazione reale e quotidiana. Chiunque è andato al potere a Napoli, lo ha fatto in base ad una critica radicale della gestione precedente. E il tema del ruolo della camorra è stato sempre centrale. Ma una volta al governo, quella “Napoli terribile” si trasforma nella “bella Napoli”, non più afflitta dai problemi prima stigmatizzati. Perché? Perché è così diffusa la tendenza di chi vince le elezioni con un linguaggio radicale, di modificarlo appena conquistato il potere? E’ solo realpolitik? Non so darmi una risposta convincente a questa domanda.

E’ diventata una regola della lotta politica vincere da radicali e parlare poi da consolatori? Sicuramente in questo atteggiamento non c’è malafede o imbroglio. Forse non si vogliono scoraggiare i propri elettori e negare loro la speranza che le cose possono essere cambiate nonostante i disastri precedenti. Ma per non scoraggiare si può dipingere la situazione della città diametralmente opposta a quella che si è denunciata prima? Per esempio, sulla crisi economica e sul fortissimo insediamento della camorra in città? Perché mai non coltivare questi due temi anche da sindaco? Chi potrebbe realisticamente attribuirne tutte le responsabilità a primo cittadino? Nel decidere di non parlarne c’è sicuramente la consapevolezza degli scarsi mezzi e poteri a disposizione per affrontarli; e allora, non sarebbe meglio parlarne tutti i giorni e chiamare il governo nazionale alle sue responsabilità?

Un sindaco di Napoli dovrebbe essere una quotidiana spina nel fianco di ogni governo nazionale che avesse dimenticato i suoi doveri verso la disastrata situazione economica e dell’ordine pubblico a Napoli. Non lo fa De Magistris, e non lo hanno fatto i suoi predecessori. D’altra parte il rilancio strategico di una grande metropoli non può essere solo un problema locale, municipale o delle forze indigene. In ogni parte del mondo è così. Lo è stato a Barcellona, a Berlino, e in Italia a Torino e a Milano. E nella stessa città di Napoli ogni cambiamento di strategia è stato accompagnato da un consistente apporto di capitali pubblici. Avvenne a fine Ottocento con il Risanamento dei quartieri a ridosso del porto, con Nitti all’inizio del Novecento quando si avvia lo stabilimento siderurgico di Bagnoli, e dopo il 1980 con le risorse del post-terremoto.

Si può mai chiedere un rilancio della città senza un aiuto dallo Stato, con il Comune in crisi finanziaria e con i privati senza idee e capitali. Senza Stato e senza capitali privati? Napoli non ce l’ha può fare da sola, non perché non si sono dimostrati all’altezza del compito Bassolino, la Iervolino ed oggi De Magistris. Nessuna grande città dell’Occidente può uscire da una crisi secolare solo con le sue forze. Nessuna grande città si trasforma radicalmente se non inserita in un contesto che si trasforma alla luce di grandi investimenti pubblici e privati. Non si rende autonoma nel suo sviluppo una grande metropoli se non c’è qualcuno che scommette dall’esterno su quell’autonomia e lavori per farla crescere. La spinta endogena può essere stimolata da quella esogena, ma non sostituirla.


“Alzati e cammina” appartiene alla miracolistica, non alle leggi dell’economia e della politica. Ciò non vuol dire che non ci si debba provare anche a livello locale e contribuire con le limitate forze a farlo: a partire da un cambio di passo radicale del funzionamento della macchina comunale. Napoli è ancora oggi l’unica grande metropoli dell’Occidente ad essere caratterizzata da una sproporzione impressionante tra popolazione e risorse, da una presenza massiccia di ceti sottoproletari nel cuore del suo centro storico, da una impossibilità di mezzi per integrarli socialmente ed economicamente. L’economia illegale e l’accumulazione delinquenziale, in alcuni momenti topici della vita sociale della città, hanno sostituito ciò che il mercato e lo Stato non erano in grado di coprire. Le camorre sono il lato oscuro di questo storico inaccettabile equilibrio. Ieri come oggi.
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Il Mattino