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Arrivati alla fine dell’anno è quasi d’obbligo trarre una breve sintesi di quanto è successo negli scorsi mesi e riflettere su quanto potrà avvenire in futuro. Anche se non mi sottrarrò da quest’obbligo, non posso evitare di spendere qualche riga sulla Brexit. Non per commentare gli aspetti particolari dell’accordo, peraltro disponibile solo da poche ore e consistente di ben 1246 pagine! Un accordo che contiene il riesame di tutti i rapporti oggi esistenti tra la Gran Bretagna e l’Unione europea. Fatta eccezione per la circolazione delle merci, tutto il resto sarà soggetto a mutamenti a volte minori, ma spesso sostanziali.
Tante cose cambieranno: dall’uso dei documenti di entrata in Gran Bretagna alle regole del mercato del lavoro, dalla proprietà intellettuale alle misure sui trasporti e sulla pesca. Vi sarà tempo e modo di commentare tutti questi aspetti: per ora dedichiamoci ad accogliere in modo positivo il fatto che non vi sia stata la rottura completa che il primo ministro britannico sembrava privilegiare.
In secondo luogo vale la pena osservare che l’esito sarebbe stato diverso con la rielezione di Trump, sempre dedicato a dividere l’Europa e ad appoggiare la più netta scissione britannica. Resta infine singolare che il trattato preveda infinite clausole di revisione periodica: elemento sorprendente dopo anni di aspre trattative.
Naturalmente le possibili revisioni possono condurre a un inasprimento o a un avvicinamento. Io tendo a considerarle un barlume di saggezza utile a correggere le possibili conseguenze negative dell’accordo sottoscritto e, quindi, a preparare a tempo opportuno il riavvicinamento della Gran Bretagna all’Unione europea, riavvicinamento che le evoluzioni della politica internazionale dimostreranno necessario anche per i leader britannici ora così ostili nei confronti dell’Europa.
Quanto all’economia mondiale del post-Covid, ognuno sta andando per conto suo: la Cina corre, gli Stati Uniti e l’Europa arrancano, mentre i Paesi emergenti camminano in ordine sparso ma, in generale, se la passano proprio male.
Sarebbe questo il caso in cui si dovrebbe convocare una grande conferenza internazionale per ricostruire le regole fondamentali della politica mondiale, come accadde nel 1944 a Bretton Woods. Purtroppo la situazione politica mondiale è ben diversa: allora vi era un solo Paese dominante, mentre oggi gli Stati Uniti vedono il loro potere economico condizionato dalla presenza della Cina e dell’Unione Europea. Possiamo aggiungere che oggi manca anche il potere intellettuale di Keynes che, alla conoscenza del presente, univa il rarissimo dono di immaginare il futuro.
La sede meno lontana da una grande conferenza mondiale è oggi costituita dal G20 che, pur con tante fragilità, raccoglie attorno allo stesso tavolo i rappresentanti dei venti Paesi più importanti del pianeta.
Da pochi giorni l’Italia ha il compito di presiedere questo consesso: è una grande occasione per il nostro Paese, ma bisogna convenire che non si vede alcuno sforzo di preparazione all’altezza del compito. Ed è un vero peccato perché il ruolo di un Paese oggi non si misura solo sui tradizionali parametri economici, ma anche sulla sua capacità di proposta e sulla sua autorevolezza. Entrambe queste caratteristiche vanno però preparate confronti una combinata mobilitazione delle risorse intellettuali e politiche, di cui non si vede traccia.
Per quanto concerne i dati quantitativi, a parte la corsa cinese così veloce da sostenere il prezzo del petrolio e delle materie prime, sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno avuto un terzo trimestre migliore del previsto, tenuto conto della catastrofe dei primi sei mesi dell’anno.
Questo è il quadro che abbiamo di fronte, ma abbiamo anche le condizioni per accelerare e prolungare il nostro ritmo di crescita, intensificando il più possibile la campagna di vaccinazione e dirigendo le risorse che arriveranno dal Next GenerationEU verso investimenti dedicati ad aumentare crescita e produttività.
Non dimentichiamo, inoltre, che il commercio internazionale si comporta in misura migliore rispetto alle previsioni e che, nell’anno che si sta per concludere, abbiamo avuto un impressionante aumento della propensione al risparmio di famiglie e imprese che, se si ridurrà l’incertezza, si potrà trasformare in un aumento dei consumi e degli investimenti, con la possibilità di alleviare i danni che saranno prodotti dalla fine della cassa integrazione e dalle crescenti difficoltà del mercato del lavoro.
Con la complicità del vaccino abbiamo quindi la possibilità di iniziare il complicato cammino della ripresa. A questo si dovrebbe aggiungere la complicità del governo ma, mentre il vaccino comincia ad arrivare, il governo fatica a trovare l’unità necessaria per decidere. Invece di prendere esempio dai produttori dei vaccini, esso sembra seguire la litigiosità dei virologi.
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Il Mattino