Minorenne ucciso dal carabiniere a Napoli, il complice di Ugo: «L’ho visto morire, ora cambio vita»

Minorenne ucciso dal carabiniere a Napoli, il complice di Ugo: «L’ho visto morire, ora cambio vita»
Dice di averlo visto cadere a terra, «stramazzare al suolo, pieno di sangue». È l’ultimo ricordo che ha del suo amico e socio in affari, l’ultima...

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Dice di averlo visto cadere a terra, «stramazzare al suolo, pieno di sangue». È l’ultimo ricordo che ha del suo amico e socio in affari, l’ultima scena che ricorda di Ugo, nel corso del tentativo di rapina culminato nel fattaccio di domenica notte. Anche ieri mattina, F.D.C., il complice diciassettenne di Ugo Russo, ha ribadito la sua versione. L’ha raccontata al gip Draetta del Tribunale dei Minori, dopo essere stato fermato dai carabinieri domenica pomeriggio: ieri il giudice ha convalidato il fermo, disponendo il trasferimento in una comunità di minori, di fronte all’esigenza di inserire il 17enne in un percorso di recupero, anche alla luce di una sorta di ravvedimento emerso dall’interrogatorio per la vita dissoluta condotta fino a questo momento.


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LE IPOTESI
È accusato di concorso in tentata rapina ed ha reso una confessione piena su quanto avvenuto in via Orsini, alle spalle di via Santa Lucia. Una brutta storia, anche a sentire ora il 17enne, che si è detto dispiaciuto per la fine toccata ad Ugo, per il dramma che si è scatenato nella vita di tre persone, che lo ha cambiato facendogli capire l’esigenza di nuove scelte di vita. Difeso dal penalista Mario Bruno, il minore confessa, chiede scusa, si mostra addolorato. E prova a fornire la sua versione dei fatti, che - ovviamente - dovrà essere confrontata con gli elementi concreti che verranno fuori dall’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli. Ma torniamo a quanto avvenuto a due passi dal lungomare, trenta minuti dopo la mezzanotte di domenica. Assieme ad Ugo Russo, il 17enne aveva puntato un ragazzo in una Mercedes con un Rolex al polso. «Ci servivano soldi per andare a ballare», ha dichiarato. Ma il resto della testimonianza riguarda la sua posizione di osservatore privilegiato, di indagato di reato connesso, ma anche di testimone del delitto culminato nella morte del 15enne. Ed è F.D.C. ad andare avanti e spiegare: «Il mio amico si è avvicinato al finestrino, aveva una pistola finta senza tappeto rosso, voleva prendergli l’orologio, io ero a due o tre metri di distanza dall’auto». Poi che cosa è successo? Alla domanda del giudice, il rapinatore in erba offre questo racconto: «È come se il carabiniere abbia fatto finta di togliersi l’orologio, per poi impugnare l’arma». E poi? A domanda, il rapinatore fa una precisazione: «Non ho sentito il carabiniere qualificarsi». Questione di prospettiva, di percezione, dal momento che il carabiniere ha invece dichiarato di essersi qualificato, prima di notare un falso movimento del ragazzino armato (una sorta di scarrellamento) che lo avrebbe poi indotto a sparare e uccidere il suo aggressore. Questione di attimi, quelli in cui pesi la tua vita e quella dell’aggressore armato che hai di fronte, prima di premere il grilletto e fare fuoco. 
 
GLI SPARI
Ma torniamo all’interrogatorio reso dal minore dinanzi al giudice del Tribunale dei Colli Aminei: «Ho assistito ai primi due spari: uno al petto, l’altro all’altezza della nuca, quando il mio amico cercava di fuggire. Poi ho avuto paura e sono scappato. Mentre scappavo, ho sentito almeno un altro sparo, che credo fosse rivolto nei miei confronti, perché Ugo era già stramazzato al suolo ed era pieno di sangue». Una versione che dovrà essere confrontata con gli esiti dell’autopsia. Oggi pomeriggio alle 16, in Procura, ci sarà il conferimento di incarico per gli accertamenti irripetibili. Difeso dal penalista Enrico Capone, il militare dovrà difendersi dall’accusa di omicidio volontario, in uno scenario in cui - oltre a fornire piena collaborazione agli inquirenti - ha anche ribadito di aver assunto un «atteggiamento professionalmente corretto». Difesi dal penalista Antonio Mormile, anche i genitori di Ugo si affideranno a un consulente, nel corso di un processo in cui chiedono giustizia per la morte del figlio. 

IL GIUDICE

Ha notato una sorta di ravvedimento nel diciassettenne. Tanto da mandarlo in comunità per una tentata rapina. «C’è il rischio che, tornando libero, possa ritornare a fare nulla», in una vita da perditempo, piena di nulla, sempre a caccia di persone oneste da aggredire per una manciata di soldi. Va inserito in un percorso educativo, tanto da spingere il giudice a scegliere una via mediana: tra il carcere e la strada, c’è una comunità a cui spetta il compito di riportare l’ennesimo malvivente under 18 in un contesto civile. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino