Minori in coma etilico, a Napoli è boom di ricoveri: «Arrivano in ospedale quasi morti»

Minori in coma etilico, a Napoli è boom di ricoveri: «Arrivano in ospedale quasi morti»
La spia rossa si accende il venerdì e il sabato quando nei pronto soccorso degli ospedali della città arrivano almeno 4 o 5 ragazzi ogni notte. Giovani, talvolta...

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La spia rossa si accende il venerdì e il sabato quando nei pronto soccorso degli ospedali della città arrivano almeno 4 o 5 ragazzi ogni notte. Giovani, talvolta giovanissimi. Numeri che raddoppiano nei grandi plessi come il Cardarelli. Intossicazione acuta da superalcolici è la diagnosi standard. Ci sono anche minori: gli “shottini” e l’uso di cannabis sono la regola ma spesso i sanitari si trovano di fronte giovani che fanno uso delle nuove droghe più difficili anche da classificare.

«Fino a qualche mese fa il fenomeno era completamente azzerato - avverte Mario Guarino, primario del pronto soccorso del Cto - da alcune settimane è invece in ripresa, siamo tornati allo scenario preCovid». Ascesa che segue fatalmente la scia della movida e dei festini finora limitati per le per le restrizioni anti-Covid». Ecco un caso tipo: 22 anni, maschio, studente fuorisede di Medicina. Arriva nel pronto soccorso del Cto alle 3.45 accompagnato in auto da un gruppo di amici. Sta male: vomito, agitazione e allucinazioni. Gli esami tossicologici danno riscontro per amfetamine e cannabis e alcolemia elevata. Sul piano clinico c’è da fare i conti con l’ipotermia. Dall’analisi del sangue arterioso (emogas) emerge un’acidosi metabolica. «Un caso che abbiamo trattato con fluidi endovena riscaldati e termocoperte - spiega ancora Guarino - sedazione, farmaci contro il vomito. È stato qui circa 12 ore poi lo abbiamo dimesso. Prima che andasse via gli abbiamo fatto vedere un video sui danni provocati al cervello dall’uso frequente e prolungato di droghe e superalcolici». Racconti simili si raccolgono in tutti gli ospedali della città, al San Paolo come al Pellegrini, al Cardarelli come all’Ospedale del mare. A Pozzuoli il primario Fabio Numis accoglie molti ragazzi che da Napoli si spostano nei locali del lungomare e del porto di Pozzuoli. «Fanno uso di sostanze e drink - spiega - cocktail che diventano micidiali. Escono, bevono e stanno male. Si avverte un grande uso delle smart drugs che si acquistano su internet. Un fenomeno che ora si è affacciato anche dalle nostre parti».

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Anche Al Santa Maria delle Grazie nel weekend arrivano 4-5 ragazzi a notte. «L’età media - spiega Numis - è più bassa rispetto a quella delle bravate dei nostri tempi: siamo attorno ai 15 o 16. Spesso arrivano qui anche perché coinvolti in risse, aggressioni o in incidenti stradali». Sono alterati, soli, non solo storie di marginalità ma anche di normalità che nascondono disagi profondi sepolti dietro la violenza e la spavalderia. Al Cardarelli i racconti si moltiplicano. Per i minori scatta l’allerta alle famiglie ma alcuni dicono di non avere con sé i documenti, restano qualche ora e vanno via alle luci dell’alba. Giovani acerbi, nella struttura fisica, nella consapevolezza di sé e del mondo, in cui emergono le difficoltà dell’adolescenza, la solitudine oggi acuita dalla pandemia. Un disagio diluito nell’uso e abuso di alcol e droghe. Un fenomeno andato avanti sotto traccia scomparendo dai radar durante le ondate pandemiche ma che oggi torna a dare segnali ad ogni week end alle antenne degli ospedali.

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«Dalle segnalazioni che giungono alla nostra attenzione - sottolinea Filomena Morisco, docente di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico Federico II - il fenomeno del binge-drinking (più drink assunti in breve tempo) nei giovani è diffusissimo. Intossicazione, amnesia, perdita dei sensi, incidenti stradali e traumi, gli effetti negativi immediati ma a lungo termine il binge-drinking causi danni anche irreversibili a livello epatico e neurologico». Alterazione delle funzioni cognitive, cambiamenti della corteccia, alterazioni del neurosviluppo i danni più gravi. Peraltro la tolleranza nei confronti dell’etanolo induce ad aumentare le dosi per ottenere lo sballo. «L’abbassamento dell’età - sottolinea la studiosa - richiede un programma ad hoc tra gli 11 e i 18 anni. Non basta più raccogliere i dati, bisogna intervenire. Come Università abbiamo messo a punto un progetto educativo-didattico incentrato sul corretto consumo tra stigma e consapevolezza scientifica che vorremmo proporre al sindaco Manfredi e ad altre amministrazioni. L’educazione all’alcol necessita un coinvolgimento interattivo dei giovani, un approccio colloquiale che li avvicini all’aspetto psicologico e sociologico ma anche scientifico». 


 

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Il Mattino