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Ha pienamente ragione l’assessore Alessandra Clemente quando osserva, giustamente polemica, che nella frase di cui l’ha voluta gratificare un suo collega dell’amministrazione regionale campana, l’assessore alla Legalità Mario Morcone, ciò che conta non è tanto l’intento sminuente, “la simpatica ragazza bionda”, quanto il fatto che a pronunciarla sia un uomo che ricopre una carica pubblica nell’atto di rivolgersi ad una donna che occupa un ufficio analogo, quello di assessore appunto del Comune di Napoli. Peggio, Mario Morcone, non poteva fare, riassumendo in un’unica espressione due tratti ugualmente odiosi, il sessismo e la riduzione insopportabilmente paternalistica del proprio interlocutore stigmatizzato in quanto donna (bionda è un attributo carico di valori connotativi; di solito bionda è sinonimo di sciocca, svampita, in ogni caso trascurabile) e in quanto minore. L’assessore Morcone voleva fare lo spiritoso e gli è andata male. Sono le cose che accadono quando si trascina il discorso pubblico oltre il limite sempre più sbiadito per altro della buona educazione.
Ma il punto, come si diceva e come ha fatto notare ancora l’assessore Clemente, non è questo.
Si può infatti seguirla sul terreno del rispetto delle istituzioni, ma c’è una domanda alla quale l’assessore Clemente non può sottrarsi. Quale ruolo gioca lei, Alessandra Clemente, in quanto assessore, nello stato di abbandono in cui versa la città? Perché, se le istituzioni esigono rispetto, non per questo sono, né possono essere, il fortino dell’arroganza.
Il discorso della responsabilità riguarda Alessandra Clemente in modo specifico. Non si tratta cioè di una generica condivisione dell’indirizzo politico della giunta cui appartiene, ma del fatto che, nell’ambito di questa giunta, il suo ufficio è stato caricato nel tempo di una quantità di deleghe che la mettono direttamente sulla linea del fronte del degrado cittadino. Titolare di un assessorato che somma fin dall’intestazione le più gravi e disparate incombenze, dei giovani, del patrimonio e dei lavori pubblici, praticamente il nucleo duro di qualsiasi amministrazione, Alessandra Clemente ha o dovrebbe avere voce in capitolo in questioni che tra le altre riguardano appunto il patrimonio pubblico, le infrastrutture, le strade, il suolo e il sottosuolo, la sicurezza urbana, fino all’immagine e alla promozione della città. Ora è difficile non notare che ciascuna di queste voci suoni all’orecchio dei napoletani con il tono lugubre di un funerale. Il funerale appunto della città, della sua immagine, della vivibilità quotidiana. Dagli altarini della camorra e dai murales che celebrano vite banditesche di adolescenti nei vicoli del cuore antico di Napoli, alla chiusura della galleria della Vittoria, fino all’immagine di cadente e rabberciato che offrono ad ogni svolta angoli in altri tempi incantevoli e prestigiosi della città - e che oggi invece sono deturpati da quei veri e propri apparati scenici del precario e dell’improvvisato che sono transenne, spartitraffico in plastica, e lembi svolazzanti di reticolati, anch’essi nella loro orribile e riconoscibilissima plastica arancione -, il quadro della Napoli affidata alle scarse cure dell’assessore Clemente è di rara desolazione.
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