Riportiamo a Napoli ​le spoglie di don Pedro

Riportiamo a Napoli le spoglie di don Pedro
Don Pedro, guarda cosa ti sei perso! Così abbiamo titolato ieri la pagina dell’Uovo di Virgilio dedicata ai “tesori ritrovati” di San Giacomo degli...

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Don Pedro, guarda cosa ti sei perso! Così abbiamo titolato ieri la pagina dell’Uovo di Virgilio dedicata ai “tesori ritrovati” di San Giacomo degli Spagnoli, la chiesa fondata dal mitico viceré de Toledo e incastonata come una gemma all’interno di Palazzo San Giacomo, la “casa” del sindaco. Secoli di storia che hanno rischiato di finire nella fossa comune della memoria: pericolo sventato, per fortuna.

La basilica è infatti chiusa da una decina d’anni per colpa delle copiose infiltrazioni d’acqua causate da un’impermeabilizzazione a dir poco fatiscente: un lento stillicidio che ha minacciato di rovinare per sempre gli stucchi, le cappelle, i marmi e le tele del luogo che più di tutti, in città, celebra il connubio tra Napoli e la Spagna, due culture millenarie che si incrociarono all’ombra del Vesuvio nel ‘500 e nel ‘600. Ora i tesori d’arte di San Giacomo degli Spagnoli tornano a vivere, grazie a un imponente restauro promosso dall’arciconfraternita che gestisce la basilica - la Real Hermandad de Nobles Españoles de Santiago - e all’associazione Friends of Naples, già artefice di altri importanti recuperi come quello di Porta San Gennaro, con l’affresco di Mattia Preti.

Ma allora perché quel «don Pedro, guarda cosa ti sei perso?». Perché tra i capolavori custoditi a San Giacomo degli Spagnoli, e presto fruibili grazie a un restauro peraltro ancora in corso, c’è anche lo splendido monumento sepolcrale di don Pedro de Toledo, che governò la città, per conto di Carlo V d’Asburgo, dal 1532 al 1553. Lo stesso viceré ne affidò la realizzazione a Giovanni Merliano da Nola e ai suoi discepoli, come Annibale Caccavello: autentiche archistar del loro tempo. Peccato che il povero don Pedro non possa rallegrarsene: le sue spoglie riposano infatti lontano da Napoli, ed esattamente nel Duomo di Firenze, dove l’artefice della trasformazione urbanistica della città morì, nel 1553, prima che il suo mausoleo venisse portato a termine. Così il cenotafio di piazza Municipio, uno dei più belli della città, forse secondo solo al grande mausoleo di re Ladislao e di sua sorella Giovanna II nella chiesa di San Giovanni a Carbonara, è rimasto desolatamente vuoto (anche se la leggenda vuole che nella tomba ci siano i resti del figlio Garcia). 

Crediamo che sia venuto il momento di riportare a Napoli le spoglie di don Pedro, il “monumentale” viceré che calò il pugno di ferro su Napoli nel settembre del 1532, governando per ventuno anni e trasformando la città in una delle roccaforti più impenetrabili dell’impero spagnolo. Il viceré de Toledo fu uno dei personaggi più importanti e controversi della nostra storia. Celebre il giudizio che diede su di lui Benedetto Croce, nella sua Storia del Regno di Napoli: «Il viceré Toledo, forte del consenso di Carlo V, tenne ad essere non già amato ma temuto». Una delle nostre strade più prestigiose porta il suo nome, o meglio quello della sua città di origine: Toledo. Quando Paolo Emilio Imbriani, che fu sindaco di Napoli dal 1870 al 1872, con una decisione scellerata fece mutare il nome di via Toledo con quello di via Roma (neocapitale del Regno d’Italia) la città si ribellò riempiendolo di insulti, tanto che lo stesso Imbriani dovette far sorvegliare le nuove targhe da guardie municipali temendo che i napoletani le infrangessero a colpi di sassi. Ma l’autore di cotanto affronto fu perentorio e solamente nel 1980 l’amministrazione Valenzi ebbe il merito di porre rimedio al torto e ripristinare l’antico toponimo. 

Napoli non ha dimenticato il suo fumantino viceré e non ha dimenticato nemmeno l’origine dei Quartieri, che furono chiamati Spagnoli proprio perché don Pedro decise di confinare lì le sue guarnigioni militari. Fu Pedro Álvarez de Toledo a riunire tutte le corti di giustizia sparse in varie zone della città: così, nel 1536, Castelcapuano diventò, da fortezza e reggia, la sede dei tribunali di Napoli, il temutissimo palazzo della Vicaria. E fu sempre don Pedro a mettere fine, con un ordine che nessuno osò discutere, allo scandalo delle “orge rituali”, dei veri e propri sabba propiziatori che si svolgevano nelle grotte di tufo del monte Echia.

Ma se il giudizio del tribunale della Storia è controverso, non v’è dubbio che Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga abbia svolto un ruolo decisivo nel favorire lo sviluppo urbanistico della città, riordinando il tracciato di numerose strade e accelerando la sua espansione oltre i vecchi confini. Tra i luoghi di don Pedro, la basilica di San Giacomo degli Spagnoli è uno dei più importanti. Ancora oggi questa basilica, affollata di testimonianze artistiche, è un luogo della memoria, dove danzano le ombre del nostro passato. E in una città dove troppo spesso la memoria è dannata il ritorno di don Pedro de Toledo nella chiesa che custodisce il suo mausoleo sarebbe un segnale bellissimo. Il segnale di un’attenzione ritrovata per la nostra storia: che nonostante i mille nodi aggrovigliati, i dolori antichi, le ferite aperte, abbiamo l’obbligo di «non disunire». Come una cattedrale che non smette di crescere. 

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Il Mattino