Nicola Gratteri, il magistrato venuto dal basso che ha indagato su toghe e politica

Pm a Locri a 24 anni, figlio di contadini, è sfuggito a tre attentati della ‘ndrangheta

L'identikit di Nicola Gratteri
«Sono un agricoltore infiltrato in magistratura, innamorato del mio lavoro e, se non pensassi di riuscire a cambiare le cose, ne farei un altro». C’è...

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«Sono un agricoltore infiltrato in magistratura, innamorato del mio lavoro e, se non pensassi di riuscire a cambiare le cose, ne farei un altro». C’è tutto l’amore per la toga e l’orgoglio delle sue origini di figlio di contadini della Locride, in queste parole di Nicola Gratteri, il nuovo procuratore capo di Napoli. Un magistrato venuto dal basso, che nella sua vita non ha avuto nulla regalato, che si è laureato in 4 anni a Catania e due anni dopo era già in magistratura. Un calabrese di Gerace, il borgo storico delle 100 chiese dove ha continuato sempre a vivere con la moglie Marina. Pratico e diretto, non ha mai amato i giri di parole dosandole senza abusare in calcoli e diplomazia. «Ho fatto una scelta di vita, con sacrificio» ha ripetuto, raccontando: «Andavo a scuola con l’autostop, ho visto dei miei compagni di studi uccisi e anche questo mi spinse a fare il mio lavoro». Un innamorato della sua terra, che porta nel cuore come l’intero Sud di cui conosce bene la storia, anche quella non ufficiale.



Alla Procura di Locri, non si è mai tirato indietro. Lavorava fino a tardi in ufficio e una sua inchiesta sul settore della Forestazione calabrese provocò le dimissioni della giunta regionale. Nell’aprile del 1989, per un’intercettazione allarmante gli assegnano la prima scorta. E quattro anni dopo vive un agosto drammatico. In tre settimane, vengono scoperti tre progetti di attentati per farlo fuori. In un’intercettazione, si parla di una Y10 piena di tritolo che doveva esplodere al passaggio della sua auto. Viene bloccata in tempo. Qualche giorno dopo, alcuni vicini di casa segnalano la presenza di due uomini armati. La scorta di Gratteri spara, i due reagiscono e vengono bloccati. Il terzo episodio è ancora più inquietante: il 27 agosto gli era stata assegnata una nuova auto Croma con sei strati di corazza. In viaggio, gli agenti della scorta avvertono rumori insoliti e fermano l’auto. Escono tutti e si allontanano. L’auto prende fuoco, esplodendo. Il livello di scorta gli viene aumentato ancora un anno fa, arrivando al grado più alto con 5 auto dopo una nuova intercettazione telefonica. Nella conversazione, si parla di un ordigno da piazzare lungo il tragitto tra Gerace e Catanzaro. Su uno dei Suv della scorta, viene così piazzato anche il «jammer», un dispositivo che disturba le frequenze Gsm, radio e Gps, impedendo l’attivazione di ordigni telecomandati.

Sotto scorta da 34 anni e tanti sacrifici nella vita privata, blindata sulle informazioni. Una sola volta il neo procuratore capo di Napoli ammise: «Ho due figli che fanno i medici non al Sud». Tanto lavoro, impegno anche nell’educazione antimafia preventiva con interventi nelle scuole a parlare di criminalità con i ragazzi. Un altro impegno di Gratteri, che con il professore Antonio Nicaso, docente in Canada, ha pubblicato oltre 20 saggi sulle mafie e la ‘ndrangheta con attenzione ai riflessi internazionali del crimine organizzato.

Non le manda a dire, Gratteri, e pretende impegno costante anche da chi lavora con lui: in ufficio presto al mattino, fine settimana a studiare le indagini se occorre. Ha fatto così alla Procura di Reggio Calabria, dove è stato aggiunto con Giuseppe Pignatone e Federico Cafiero de Raho. Ha fatto così anche a Catanzaro dove è diventato procuratore capo coordinando delicate indagini su traffici di droga e legami ndranghetisti nel mondo con la cattura di 140 latitanti. Poco salottiero, vita riservata, ha raccontato: «Mi rilassa fare giardinaggio. L’orto è il mio psichiatra, lavorare con le mani distende i nervi». Cittadino onorario di Ancona, a lui pensò Matteo Renzi come ministro della Giustizia nel suo governo. Ma si oppose il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lo ha raccontato proprio Gratteri: «La sera prima, parlai due ore con Renzi e dissi che la prima riforma doveva riguardare il Csm. Il giorno dopo, mi chiamò Graziano Delrio e mi disse che sul mio nome c’era il veto del capo dello Stato, che non ho mai visto né incontrato».

Estraneo a club e correnti, il neo procuratore capo non si è mai iscritto a qualcuna delle componenti dell’Associazione magistrati. Sui nemici, non dice che più sono più dimostra che dà fastidio. Ma ne elenca i principali: la ‘ndrangheta e la massoneria deviata. E, se qualcuno gli ricorda come anche molti magistrati non gli vogliono bene, ha la sua spiegazione: «Sono un uomo libero, crudo e asciutto, che dice quello che pensa, so che l’invidia è una brutta bestia e posso attirarmi inimicizie». Sull’ufficio napoletano che andrà a dirigere, giusto 30 anni dopo un altro calabrese, Agostino Cordova che ne fu capo dal 1993, ha iniziato a informarsi. Ha spiegato al Csm come intende organizzarlo e sa che troverà una realtà non semplice. Ma non è da lui spaventarsi.
 

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Il Mattino