Affidava alla scrittura il suo tormento, quella relazione impossibile come una trappola da cui non riusciva a liberarsi e di cui parlava con pochissimi amici perché...
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IL «FILOSOFO»
Da quanto raccolto dalle volontarie al momento del colloquio e che dovrebbe essere impresso negli appunti, Adalgisa avrebbe accolto in casa sua qualche anno fa Fabbrocino per aiutarlo, poiché lui era rimasto senza casa e senza lavoro: avrebbe sempre provveduto lei al suo sostentamento. «Ma non erano una coppia – asserisce Rosa Visciano – lo erano stata in gioventù, solo che qualche anno fa lui le ha chiesto di essere ospitato in casa sua “per non finire sotto i ponti”. Questo ci ha detto Adalgisa, e lei ha accettato perché era buona e disponibile o, forse, perché era ancora innamorata di lui. Si erano lasciati, anni fa, perché lei aveva appreso che la precedente relazione di lui era finita perché violento. Ci ha parlato di lui come di un uomo colto, un “filosofo”; ma negli ultimi anni a causa della sua sindrome ossessiva era diventato obeso e irascibile, perciò non usciva di casa. Lei si è rivolta a noi quando gli scatti d’ira, le minacce che potesse suicidarsi erano diventati continui: lei comprava il cibo e lui la aggrediva perché aveva paura delle malattie, lei gli comprava i libri, gli occhiali da lettura, ma lui aveva sempre qualcosa da ridire e dalle parole alle urla e alle minacce era un attimo. Lui - riferisce ancora la presidente dell’associazione - aveva una passione per i vinili e da ciò che abbiamo appreso da Adalgisa li aveva fatti a pezzi tutti, così come altre cose che amava, e come ha anche provato a fare con lei quando le ha strappato gli organi e spezzato le articolazioni dopo averla accoltellata a morte. Ma Adalgisa - conclude Rosa - sembrava più preoccupata che lui potesse far del male a sé stesso che a lei».
IL RIFUGIO
Le volontarie raccontano di averle consigliato di denunciare Fabbrocino e anche di averle offerto di restare nel “rifugio” che l’associazione ha in via Pezzentelle a Torre del Greco, dove nel periodo del Covid sono state accolte sette donne. Ma lei avrebbe rifiutato. «Abbiamo attivato la procedura di ricovero – conclude Visciano – e allertato i nostri avvocati e assistenti sociali, ma non avremmo potuto denunciare l’uomo senza il consenso della vittima. Ciò che fa rabbia è che questa è l’ennesima tragedia che si sarebbe potuta evitare, ma chi doveva ascoltarla non l’ha fatto. Lei ha parlato con pochi, con persone fidate. Anche agli studenti e ai colleghi diceva di avere un “grosso problema a casa da risolvere” ma non andava oltre. Non voleva dare scandalo». Una storia dolorosa, fatta di continui litogi, come quando Adalgisa voleva tornare nel suo paese d’origine, San Severino Lucano, e lui non voleva, e neanche voleva che lei portasse a casa parenti, come sua nipote dalla Basilicata. Fino all’ultimo, quel tragico 27 luglio, quando Adalgisa avrebbe manifestato la sua voglia di andare in vacanza, scatenando la sua ira brutale. Resta la memoria, tra i suoi alunni e colleghi, di una persona solare e di una validissima professionista. Un ex collega, Vincenzo Armini, fa sapere che l’«Associazione NutriAfrica» in Uganda le dedicherà un impianto perché Adalgisa è stata impegnata anche in missioni umanitarie. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino