«Pesano i risultati delle riforme sarà questo il giudizio decisivo»

«Pesano i risultati delle riforme sarà questo il giudizio decisivo»
Più del peso specifico dei singoli Paesi contano i risultati. E solo in base alle riforme fatte o ai risparmi conseguiti che si decide la flessibilità sui conti...

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Più del peso specifico dei singoli Paesi contano i risultati. E solo in base alle riforme fatte o ai risparmi conseguiti che si decide la flessibilità sui conti pubblici. Questa l’analisi di Enzo Moavero Milanesi, uno che di Europa se ne intende: l’attuale direttore della School of Law della Luiss è stato giudice alla Corte di giustizia dell’Unione europea e ministro per gli Affari europei dei governi Monti e Letta. Forte di questa esperienza e avendo partecipato ai negoziati del Fiscal Compact, vede «una demonizzazione delle regole (Six Pack, Fiscal Compact e Two Pack), che contengono essenzialmente disposizioni applicative di quanto già disposto dai trattati Ue sui due principali parametri di finanza pubblica: il deficit non superiore al 3 per cento del Pil e il debito tendente al 60 per cento. Norme severe, ma come ogni regola, interpretabili con margini di discrezionalità».


Appunto, non c’è troppa discrezionalità di natura politica?
«Questo tema è stato sollevato anche dal ministro tedesco Schäuble, dicendo che se la Commissione fa interpretazioni troppo politiche, esce dal suo ruolo di custode delle regole. È un punto di vista; ma penso che la risposta spetti anzitutto ai cittadini, ai risparmiatori e ai mercati».

La commissione Barroso, per esempio, era più rigida di quella Juncker.
«Direi piuttosto che è cambiato il clima generale. Il 2011 e il 2012 sono stati anni terribili per tutta l’Ue; adesso ci sono Paesi che sono ripartiti e che possono trainare gli altri nella crescita. Tuttavia, le diffuse asimmetrie in Europa sono un grosso problema».

Come è vista l’Italia a Bruxelles?
«Credo che nella visuale europea prevalgano due elementi. Da un alto, l’oggettivo apprezzamento del nostro dinamismo: la capacità di gestire situazioni molto difficili, come l’altissimo debito pubblico; la forza quali esportatori, con il buon nome del Made in Italy. Dall’altro lato, c’è la preoccupazione per la zavorra del debito stesso o le difficoltà a crescere. Sono tutti elementi importanti: perché siamo la terza economia, fra i primi mercati per consumi, la seconda manifattura dell’Eurozona. Così, diventa fondamentale saper dialogare e trattare nelle sedi Ue: soprattutto, spiegare come si conciliano queste diverse anime del Paese».

L’attuale premier ha usato parole non sempre concilianti.
«L’Europa guarda tutti i governi italiani, con un’attenzione con la “A” maiuscola. È ovvio che ogni parola che va nella direzione del dialogo venga letta positivamente, mentre quella che crea frizione no. Ma in Europa, i politici non sono valutati tanto per le cose dette, quanto per i risultati che raggiungono. Nessuno Stato vuole essere messo in difficoltà dagli altri».

Declinando di più il concetto sull’Italia?
«Le riforme sono considerate tra i fattori rilevanti che hanno consentito al nostro Paese di ottenere deroghe sugli obiettivi di bilancio. Adesso è importantissimo che si manifestino i risultati delle riforme. Quando un governo annuncia interventi, la cosa viene apprezzata; e ancor di più se c’è l’approvazione in Parlamento. Ma poi se ne verifica l’impatto reale».

In sostanza?
«Come Italia sappiamo cosa dobbiamo fare e ce lo ricordano le “raccomandazioni” Ue: pubblica amministrazione, scuola, università più efficienti, processi civili rapidi, riforma tributaria, conti pubblici sostenibili. Ci vuole del tempo e non è un caso se la cancelliera Merkel abbia detto che dal Jobs act non possono arrivare risultati in quattro e quattro otto. Ma - con una battuta - in otto e otto, devono arrivare».

Roma pretende la stessa flessibilità ottenuta lo scorso anno, molti ministri la danno per acquisita...
«Aspettiamo che parta l’interlocuzione, non uso neanche il termine trattativa, con le istituzioni Ue e con i partner. Le dichiarazioni dei ministri sono pretattica, come quella degli allenatori di calcio nel precampionato».

In prospettiva del refererendum costituzionale l’Europa potrà mostrarsi più generosa?
«L’Irlanda decise di abolire il Senato, tenne un referendum confermativo e gli irlandesi dissero “no”, lo vogliamo tenere. La cosa non mi sembra abbia avuto effetti visibili sull’economia di quel Paese».

Su queste decisioni il peso della Germania è eccessivo.

«Nella Ue gli Stati più grandi hanno più deputati al Parlamento europeo e più voti al Consiglio. Fa parte dei meccanismi democratici; in Europa come nel condominio di casa». 
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Il Mattino