Si rompe la schiena: dimesso, muore 2 giorni dopo

Si rompe la schiena: dimesso, muore 2 giorni dopo
 «Vogliamo giustizia e chiarezza sulla morte di nostro padre». Le parole dei figli di Giovanni Nascimento, che raccontano l’odissea ospedaliera del padre,...

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 «Vogliamo giustizia e chiarezza sulla morte di nostro padre». Le parole dei figli di Giovanni Nascimento, che raccontano l’odissea ospedaliera del padre, finito in una cella d’obitorio, costituiscono il punto di partenza di quello che potrebbe essere accertato come caso di malasanità. Joao Agostinho Nascimento Da Cruz, questo il nome di battesimo della vittima, era caduto dopo essersi appoggiato ad un tubolare di una balaustra all’incrocio tra vico Spezzano e via Montesanto, nel centro di Napoli.


Il tubolare improvvisamente si è staccato e l’uomo, perdendo l’equilibrio, è finito a terra. Immediati i soccorsi di parenti ed amici nel vicino presidio ospedaliero «Vecchio Pellegrini». La caduta è avvenuta intorno alle ore 18 dello scorso 19 settembre, lunedì. Poco più di due giorni dopo Giovanni è morto al Cardarelli. La denuncia sottoscritta dai parenti del 60enne, originario di Capo Verde ma cittadino italiano a tutti gli effetti dopo oltre trenta anni di residenza in Italia, è scattata ieri e ha portato al sequestro della salma e delle cartelle cliniche dei due ospedali in cui l’uomo è stato ricoverato.

«Nostro padre non ha ricevuto un’adeguata assistenza sanitaria fin dal primo momento al Vecchio Pellegrini- spiegano Edivaldo e Jesica, due dei 3 figli dell’uomo- dopo poche ore volevano dimetterlo con una prognosi di 8 giorni ed un semplice trauma distorsivo cervicale quando invece era già praticamente paralizzato». Il racconto dei familiari descrive una permanenza ospedaliera al Vecchio Pellegrini durante la quale «Giovanni è stato assistito come un codice verde - continuano a spiegare i figli-. Lo hanno sistemato prima su una sedie a rotelle, e nostra madre gli reggeva la testa perché lui non riusciva a tenerla dritta. Poi su una barella con lo schienale rotto, sotto il quale c’era un secchio di plastica per tenerlo inclinato».

Dopo l’accesso al pronto soccorso e le radiografie effettuate ad una spalla e sul tratto cervicale della colonna vertebrale, i sanitari avevano disposto le dimissioni dell’uomo a cui era stato prescritto l’utilizzo di antifiammatori e Toradol. «Stavamo andando via, quasi sistemando mio padre su un taxi nonostante le sue condizioni che erano di evidente dolore. Urlava e non riusciva a muovere le braccia, il torso e le gambe- spiegano i parenti- ma non ce la siamo sentita di portarlo a casa ed abbiamo insistito coi medici fino a che non gli è stato concesso un secondo accesso al pronto soccorso». Il primo referto medico, infatti segna le 18.55 come orario di accesso e le 20.55 come orario di dimissioni.

Ma subito dopo il 60enne è «rientrato» nella struttura ospedaliera del Vecchio Pellegrini dove ha trascorso la notte tra il 19 e il 20 fino al trasferimento all’ospedale Cardarelli, avvenuto il mattino dopo, martedì 20. «Mio padre aveva la febbre ed è stato messo su una barella rotta come se ci stessero facendo un favore a tenerlo in ospedale al Vecchio Pellegrini, sottovalutando la gravità di ciò che aveva e nonostante le nostre richieste di sottoporlo ad altri esami- spiega Jesica che si fa forza per non dimenticare nessun dettaglio –. Quando poi hanno capito che c’era qualcosa che non andava ci hanno detto che lo avrebbero trasferito al Loreto Mare, poi per mancanza di posti lo hanno portato al Cardarelli».

Nessuno dei parenti di Giovanni ha potuto accompagnare l’uomo in ambulanza mel trasferimento. «Ci hanno detto che dovevamo farci trovare in ospedale, nonostante avessimo chiesto di far salire almeno uno di noi in ambulanza- dicono i figli - inoltre avevamo avvertito tutti i sanitari che mio padre aveva già una grave invalidità in quanto portatore di protesi a entrambe le anche e problemi alla colonna vertebrale ma questa sua condizione non è stata assolutamente considerata». Al Cardarelli l’uomo è stato sottoposto a vari esami e ricoverato nel reparto di neurochirurgia dove è stato sottoposto ad un intervento per mettere in trazione il tratto di colonna cervicale compromesso.


«Durante la caduta si deve essere lesionato qualcosa all’altezza del collo e nessuno se n’era accorto al Vecchio Pellegrini- insiste Jesica- dopo l’operazione al Cardarelli mio padre parlava ed era tranquillo finchè il mattino dopo ha avuto due arresti cardiaci». Il cuore di Giovanni, insomma, alla fine non ha retto. Ad un primo tentativo i sanitari sono riusciti a rianimarlo, ma non c’è stato scampo quando dopo pochi minuti, è intervenuto un secondo arresto. L’intera vicenda è al vaglio degli investigatori del Commissariato di Polizia Arenella, dove è stata depositata la denuncia dei familiari che attraverso il loro legale, l’avvocato Massimo Di Pietro del Foro di Santa Maria Capua Vetere, accerteranno anche un altro elemento sospetto di questa tragedia: perché il tubolare, che sarebbe stato apposto dal Comune, ha ceduto sotto il peso dell’uomo?
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Il Mattino