Uno dei volti più importanti e conosciuti dell’Europa è quello dei fondi strutturali. Sono, come ben noto, risorse che il bilancio europeo destina allo...
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Nell’esperienza italiana, sommare le due politiche destinate allo sviluppo del Mezzogiorno, quella europea e quella nazionale, non è mai stato facile. Le politiche europee sono basate sulla programmazione di un insieme articolato di interventi in un arco temporale di alcuni anni, con meccanismi di monitoraggio e di verifica; richiedevano, sin dall’inizio, una elevata qualità delle amministrazioni chiamate ad attuarle. Arrivano in Italia nel momento peggiore: quando si chiude la Cassa per il Mezzogiorno e le competenze passano a ministeri e regioni; si scopre che sia gli uni che le altre sono ben poco attrezzati per gestire una strumentazione complessa. L’esperienza dei fondi europei negli anni Novanta non è così particolarmente felice. Con la fine di quel decennio c’è però una fondamentale innovazione politica, introdotta all’epoca di Carlo Azeglio Ciampi e Fabrizio Barca. Le risorse nazionali per lo sviluppo del Mezzogiorno vengono riunite tutte nel Fondo Aree Sottoutilizzate (che per la verità interviene anche al Centro-Nord e che poi si chiamerà FSC). Le risorse nazionali vengono poi programmate insieme ai fondi strutturali europei del periodo 2000-06. Si cerca anche di potenziare molto le capacità delle amministrazioni. L’Italia si pone così all’avanguardia in Europa: con una politica di sviluppo regionale unitaria, in cui convergono sia risorse nazionali che comunitarie aggiuntive, con gli stessi obiettivi; una politica che si attua con le regole europee: interventi pluriennali integrati, sia a scala nazionale sia a scala regionale. È forte la speranza di un vivace sviluppo nel Mezzogiorno.
La speranza va delusa, per più motivi. Tutto il paese all’improvviso rallenta; lo sviluppo del Mezzogiorno non acquista mai centralità politica e le classi dirigenti del paese non credono mai davvero in questa strategia. Per di più le risorse nazionali vengono rese disponibili con il contagocce; e la spesa si rivela particolarmente lenta. Ci si riprova con il 2007-13, l’esito è però simile, influenzato da due ulteriori elementi: le risorse nazionali vengono progressivamente distolte, specie nel 2008-10, verso tanti altri obiettivi: si pensi che dei 37 miliardi previsti ne restano solo 19; quelle europee diventano ormai non aggiuntive, ma pienamente sostitutive. La grande crisi che colpisce l’Italia, e specialmente il Sud, a partire dal 2008-09 rende poi tutto più arduo. È il periodo in cui cambia l’immagine dei fondi strutturali: da grande politica europea di sviluppo essi diventano l’emblema dello spreco: opere inutili, soldi non utilizzati.
Una rappresentazione falsa. L’attuazione di queste politiche, lo si è detto, non è stata facile. Ha incontrato più ostacoli. Le modeste competenze e capacità tecniche di ministeri e regioni. La loro articolazione su una molteplicità di obiettivi (anche su impulso europeo) per cui i programmi sono estremamente complessi e articolati, e difficili da mettere in atto. La necessità di usarli come un jolly per ogni intervento necessario, dato il contemporaneo, forte, taglio delle altre risorse destinate al Mezzogiorno: taglio divenuto ancor più forte dopo il 2011, quando le risorse nazionali per lo sviluppo del Sud vengono ridotte ai minimi storici (specie nel 2014-15) e restano solo quelle comunitarie. La spesa resta molto lenta, ancor più lenta che nel passato; e con la necessità di forti accelerazioni finali (e di artifizi contabili): come nel 2015, quando è scaduto il termine per utilizzarli. Contrariamente a quanto si sente spesso dire, tuttavia, non è mai successo che queste risorse siano rimaste inutilizzate e quindi restituite a Bruxelles (se non per importi irrisori). E sono state tutt’altro che inutili. Recenti valutazioni indipendenti condotte dalla Commissione Europea ne mostrano un significativo impatto positivo anche al Sud: su molti ambiti, fra cui spiccano ad esempio il forte, importantissimo, ammodernamento degli aeroporti e il sostegno all’innovazione delle imprese. Negli anni più duri della crisi i fondi strutturali sono stati poi l’unica risorse per limitare un po’ quel crollo degli investimenti pubblici che tanto ha penalizzato, e sta penalizzando il Sud. Non è un caso che il boom della spesa nel 2015 sia coinciso con l’unico anno buono per il Sud negli ultimi tempi.
Ora è in corso il programma 2014-2020, a cui il dibattito nazionale non presta però la minima attenzione. E’ ormai derubricato a questione tecnico-amministrativa. E’ un vero peccato perché i fondi strutturali sono una componente importante (anche se chiaramente del tutto insufficienti da soli, data la loro dimensione) di una politica per rilanciare il Mezzogiorno. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino