La saracinesca abbassata a metà e un biglietto: «Chiuso per inventario». Ieri mattina nella boutique alla Galleria Umberto I c’era una fibrillazione...
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Da qui l’inchiesta, l’ipotesi di reato di bancarotta e l’iscrizione nel registro degli indagati di un ramo della nota famiglia Barbaro: Alfredo Barbaro, il capostipite in quanto amministratore legale della società fallita, e i suoi figli Pasquale, Valeria, Alessandra, Barbara e Paola Barbaro. L’indagine non riguarda invece il rampo della famiglia che fa capo all’imprenditore Antonio Barbaro. Secondo l’ipotesi accusatoria, gli indagati avrebbero «nel tempo, distratto e sottratto dalla massa fallimentare – sottolineano gli inquirenti – ingenti risorse finanziarie o comunque occultato beni, anche avviando ulteriori attività commerciali aventi lo stesso oggetto sociale come la Barbaro B&V».
Questo, per l’accusa, dimostrerebbe che l’attività della società in realtà non si sarebbe interrotta con il fallimento: stesso settore, stessi fornitori, stesso know how, stesse risorse. «E ciò – aggiunge la Procura – avvalendosi degli stessi dipendenti e degli stessi beni strumentali della società fallita e accumulando una situazione debitoria ad oggi accertata, quasi ad esclusivo danno dell’Erario, che ammonta a oltre 4milioni di euro». Sarebbero stati facilitati, gli indagati, da quello che nel provvedimento gli inquirenti definiscono come «gioco dei numeri civici» tenendo conto dei diversi locali all’interno della Galleria Umberto nella disponibilità di società del gruppo Barbaro.
A sostegno dell’accusa relativa all’ipotesi di una prosecuzione dell’attività commerciale nonostante il fallimento sono indicati nel fascicolo di indagine anche scontrino e shopping bag raccolti da un collaboratore dei pm che si è spacciato per cliente compiendo acquisti nella boutique. Questo il quadro, e ancora non è completo. Gli investigatori sospettano infatti che ci sia un’altra parte della contabilità che ancora non è venuta fuori. È per questo che oltre al sequestro patrimoniale la Procura ha anche disposto delle perquisizioni in tutti gli immobili nella disponibilità degli indagati, quindi negli uffici e nelle case tra Napoli e Salina, alle Isole Eolie, dove alcuni degli indagati hanno residenza e dove ci sono i tre B&B di lusso gestiti dalla famiglia. L’obiettivo è recuperare tutta la documentazione sulla gestione della società fallita nel 2015.
Gli inquirenti sono convinti che le scritture contabili consegnate agli organi della curatela siano scritture «frammentarie o comunque tali da non rendere possibile ricostruire il patrimonio societario e le movimentazioni degli affari». Dalle indagini svolte finora gli inquirenti sospettano operazioni fraduolente tanto da ritenere che si tratti non di scarsa trasparenza ma «di una preordinata, sistematica e non occasionale serie di condotte di gestione illecita, ripetute nel tempo – sostiene l’accusa - e tali da investire tutti i profili di rilevanza penale».
Contabilità e bilancio, profilo tributario e fiscale, gestione finanziaria: tutto è sotto la lente di ingrandimento della Procura, oltre alle attività dei soci, alla scelta di indicare l’ottantenne Alfredo Barbaro come amministratore della società finita all’attenzione degli investigatori e quindi la storia della «Barbaro B&V», una delle compagini aziendali che rientrano nell’orbita del marchio Barbaro. Il crac milionario sarebbe legato a tributi non pagati con conseguente ingente danno per le casse dello Stato. Il sequestro preventivo, disposto dalla Procura, riguarda quote e patrimonio della società, inclusi i negozi nella storica Galleria e l’intero patrimonio aziendale. Ma i negozi non chiuderanno, l’attività delle boutique continuerà sotto la gestione di un amministratore giudiziario nominato dai pubblici ministeri al fine di consentire la regolare prosecuzione delle attività commerciali nei punti vendita attivi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino