Trafficanti di uomini, ecco la rete ​delle milizie di jihadisti e delle tribù

Trafficanti di uomini, ecco la rete delle milizie di jihadisti e delle tribù
Una complessa rete di organizzazioni criminali e milizie che uniscono talvolta ai traffici illeciti la militanza jihadista gestisce il traffico di esseri umani dall’Africa...

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Una complessa rete di organizzazioni criminali e milizie che uniscono talvolta ai traffici illeciti la militanza jihadista gestisce il traffico di esseri umani dall’Africa subsahariana alle coste libiche. 


Già nel 2014 i servizi d’intelligence occidentali rilevarono che i traffici illegali si muovono lungo le stesse piste tra Sahel e Nordafrica gestiti dalle stesse organizzazioni criminal/jihadiste quali Mujao, al-Qaeda nel Maghreb islamico e el-Morabitun, quest’ ultima guidata dal famigerato Mokhtar Belmokhtar dato più volte per morto. 

Attraverso il Malì, la Mauritania, il Niger e poi il deserto marocchino, algerino e libico i flussi di migranti sono stati fatti convergere verso le aree costiere in cui era più facile garantire l’accesso all’Europa. La Libia innanzitutto sia perché finora l’Italia aveva garantito soccorso e accoglienza a tutti, sia perché nel caos totale in cui è sprofondata l’ex colonia italiana dopo la guerra del 2011 molte milizie tribali del Fezzan e della Tripolitania sono coinvolte nei traffici di esseri umani dai confini meridionali col Niger e il Ciad fino alle coste del Mediterraneo. 

Le prime, legate soprattutto alle etnie Tuareg e Tebu, incassano denaro offrendo appoggi logistici ai convogli che risalivano verso nord il deserto carichi di migranti provenienti dall’Africa Occidentale (via Niger) e da quella Orientale (via Ciad e Sudan), le seconde gestiscono l’imbarco verso l’Italia. I migranti confluiscono su Sebha, cuore della regione desertica libica, per poi raggiungere i centri di smistamento di Gharyan e Bani Walid prima di venire trasferiti sulla costa per l’imbarco. 

Il governo di Fayez al-Sarraj, costituito dall’Onu e appoggiato anche dall’Italia, non ha un proprio esercito ma si appoggia su milizie che lo riconoscono pur mantenendo ampie “autonomie”, inclusa la gestione di attività illecite quali il traffico di esseri umani e il contrabbando di petrolio. 

Se la Guardia Costiera di Tripoli, sostenuta dall’Italia, mostra crescenti capacità e affidabilità, è altrettanto vero che tra i sei trafficanti posti sotto sanzioni dalle Nazioni Unite il 7 giugno scorso vi sono i libici Ahmad Oumar al Dabbashi, Musab Abu Qarin, Mohammed Kashlaf e Abd al Rahman al-Milad, uomini legati a diverso titolo al governo di Tripoli o alle milizie che lo sostengono ottenendo in cambio un riconoscimento istituzionale. 

Tra i sanzionati dal Palazzo di Vetro anche due eritrei, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak, considerati i pianificatori dei traffici su vasta scala e i gestori delle complesse reti che gestiscono i viaggi dei migranti. 

Benché il supporto italiano abbia consentito a Tripoli di sgominare bande di trafficanti a Sabratha, Zawya e in altre località a ovest della capitale, la regione costituisce ancor oggi il fulcro delle partenze di migranti illegali, frequenti anche nei porti più a est (come Garabulli e Khoms) in parte controllati dalle milizie ostili ad al-Sarraj e fedeli all’ex premier della Tripolitania, Khalifa Ghwell. 

Il potenziamento della Guardia costiera di Tripoli che riporta indietro le persone soccorse in mare e l’iniziativa italiana hanno ridotto gli sbarchi dell’80% rispetto all’anno scorso aumentando considerevolmente i tempi d’attesa dei migranti in Libia il cui numero era stimato l’anno scorso dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni in circa 370 mila. 

Negli ultimi giorni i gommoni sono salpati soprattutto da Zuara ma l’arretramento delle navi italiane e lo stop decretato da Roma alle navi delle Ong e ai mercantili che imbarcano migranti nelle acque di competenza delle motovedette di Tripoli, potrebbe indurre i trafficanti a modificare rapidamente rotte e programmi. 

Già l’anno scorso, dopo l’avvio del “Piano Minniti”, si intensificarono gli sbarchi illegali in Andalusia di imbarcazioni salpate dalle coste marocchine, dove migliaia di clandestini africani vivono accampati intorno alle énclaves spagnole di Ceuta e Melilla. 

Non è certo un caso che dopo l’accoglienza offerta alla nave Aquarius con a bordo oltre 600 immigrati illegali, la Spagna debba fare i conti in questi giorni con un improvviso boom di sbarchi sulle sue coste. 


Un dato che conferma la “flessibilità” dei trafficanti di uomini e spiega le reazioni furibonde di alcuni Stati europei di fronte alla svolta del governo italiano.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino