Il Papa e l'alleanza ​fra trono e altare

Il Papa e l'alleanza fra trono e altare
In un’intervista per molti aspetti eccezionale, pubblicata il 3 maggio sul Corriere della Sera, forse la più “politica” da lui concessa, Papa Francesco se...

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In un’intervista per molti aspetti eccezionale, pubblicata il 3 maggio sul Corriere della Sera, forse la più “politica” da lui concessa, Papa Francesco se ne è uscito in un giudizio perentorio sull’atteggiamento del Patriarca di Mosca. Un giudizio talmente inusuale nei toni da spingere Kirill a una puntualizzazione piuttosto piccata sui fraintendimenti che c’erano stati, a suo dire, nel colloquio tra loro riferito da Papa Francesco. E che cioè lui, Kirill, Patriarca della Chiesa ortodossa di Russia, non poteva trasformarsi «nel chierichetto di Putin». 

Una presa di distanza netta dall’adesione del Patriarca all’invasione russa dell’Ucraina, e alle sue motivazioni, che Kirill gli aveva illustrato nel colloquio. Un approccio improponibile per Francesco, perché, come ha detto a Kirill, noi “siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio”.
Un giudizio, con le sue motivazioni, inusualmente reso pubblico, a costo di creare una difficoltà ulteriore al già difficoltoso dialogo ecumenico della Chiesa di Roma con la Chiesa ortodossa, cui pure Francesco tiene tantissimo, che a molti commentatori è apparso anche un modo di poter dire nella stessa intervista, senza essere accusato di anti-atlantismo e, peggio, di compiacenza con Putin, all’Occidente che qualche colpa attiva o di omissione nello scoppio della tragedia in Ucraina ce l’aveva. Che cioè non aveva giovato alla causa della stabilità in Europa, e della tenuta della pace, degli assetti usciti dal collasso dell’ex Unione sovietica, «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia», che forse non aveva «provocato, ma facilitato sì l’ira del Cremlino» e l’intervento in Ucraina. 

Ci sarà stato pure questo calcolo “politico”, ma, se c’è stato, è servito a Francesco per dire in un dibattito pubblico spesso viziato dallo schieramento di parte, due verità evidenti ad ogni osservatore intellettualmente onesto: che l’atteggiamento di Kirill era stato ed è insostenibile per un vescovo cristiano di qualunque confessione sia; e che l’atlantismo anglo-americano non è un dogma, e che piuttosto ci serve, e serve a tutti, un atlantismo più europeo e più lungimirante in un mondo che o avrà equilibri multipolari, attenti alla sicurezza, e al sentimento di sicurezza, di tutte le grandi potenze, o vedrà continuare a pezzi e bocconi sempre più grandi la guerra mondiale in atto da trent’anni per ridefinire gli equilibri su un pianeta ormai globalizzato e interdipendente.

Ma per tornare alla prima verità detta da Francesco, quella sull’atteggiamento del Patriarca Kirill, la cosa più importante del giudizio su Kirill, invitato fuori dai denti a non fare «il chierichetto di Putin», è nelle sue motivazioni: «i vescovi sono pastori dello stesso santo popolo di Dio». Francesco ha chiarito, cioè, in modo pregnante, che il mondo di oggi, da parte della Chiesa, di tutte le Chiese, ha bisogno di “profezia”, di “parlare avanti” al popolo di Dio per portarlo nel suo futuro, e non di una vieta alleanza tra il Trono e l’Altare. Perché nel mondo globale questa alleanza è impensabile, e pericolosa; alleanza storicamente già in se stessa una secolarizzazione clericale, una mondanizzazione della Chiesa, che ha sempre tradito il Vangelo, la sua distinzione tra quel che dobbiamo a Dio e quel che dobbiamo a Cesare, fondativa della capacità dello sguardo cristiano di “essere in questo mondo senza essere di questo mondo”, senza consegnarsi del tutto ai suoi demoni di potenza; della sua capacità di trascendere, nell’incontro con le ragioni degli altri, le ragioni della giustizia che è pace, il Totem, l’idolo del proprio “Noi” – etnia, popolo, stato, nazione che sia. E che proprio il mondo globale, che non può più permettersi questa interpretazione totemica del religioso, la sacralizzazione della propria “tribù”, non può vedere Chiese impantanate nello scontro di potenza, di volontà di potenze, nel mondo. E che l’unico Trono legittimo cui essere alleati è ormai in modo evidente quel che Cristo, l’ecumenismo cristiano ha da sempre indicato: la famiglia umana, il mondo di tutte le genti. Il Papa lo dice in modo lapidario: «siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio». E cioè: il popolo di Dio è uno solo, ed è tutto “santo”, non lo si può toccare, non gli si può mettere su una mano omicida. Questo significa santo: intoccabile, intangibile.

La dignità della Chiesa, e la dignità dei Troni, è nel rispetto di questa intangibilità dell’umano e della famiglia umana. La profezia di cui ha bisogno il mondo globale è questa. Ed è meglio per i Troni che nella ricerca mondana del loro bilanciamento la ascoltino, ad evitare un collasso che li travolga tutti. Qualsiasi altra argomentazione a questo livello ha solo il tono della cecità, di non voler vedere la realtà.
 

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Il Mattino