Fra poco saranno settant’anni dal 1960 in cui Eduardo De Filippo scrisse «Il sindaco del rione Sanità»: e questa che è tra le più misteriose...
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La scelta di questo Eduardo è di per sé difficile: che può dirci ancora una sorta di giustiziere buono che agisce dentro una condizione di illegalità? A salire in primo piano sarà il pessimismo quasi assoluto di una delle pièce più nere di Eduardo o sarà l’idea che bisogna ripensare ai significati di legale-illegale in certi contesti? La tentazione di decifrare le scelte di Martone è molto forte: prima, perché un regista contemporaneo, ricco di esperienze che vanno dall’avanguardia a Buchner, sceglie Eduardo e sceglie un Eduardo estremamente brechtiano o comunque risolvibile teatralmente forse solo attraverso un’elaborazione da teatro epico; poi, perché un regista contemporaneo nella visione si mette a capo di una compagnia radicata nella tradizione e si collega a un laboratorio radicato nel sociale; e, infine, perché tutto questo assume un deciso significato politico: far rivivere la compagnia di Luca De Filippo è un gesto socialmente attivo, positivo, politico.
C’è forse nel progetto di Martone una volontà di tornare in qualche modo indietro? Impossibile: dopo il lavoro di Servillo, che ha passato una lama sulla «tradizione» non autentica ma oleografica di Eduardo, ha disincrostato quella «tradizione» dai napoletanismi e ha portato il teatro di Eduardo in un territorio in cui i tempi e i ritmi sono quelli del contemporaneo, sarebbe impossibile, poco proficuo e «contronatura» tornare indietro per un regista avvertito e lucido come Martone. Una cosa è certa: l’interrogarsi intorno a certi archetipi di onore e di giustizia che vengono da lontano, e che ancora resistono nella camorra contemporanea sia pure attraverso metamorfosi che li hanno resi quasi irriconoscibili, è non solo benvenuto ma necessario: andando per tutte le possibili vie.
Dal Martone di «Morte di un matematico napoletano» a quello dei «Dieci comandamenti» di Viviani a questo del «Sindaco» di Eduardo sembrerebbe tessersi una trama: sicuramente non semplice, ma certo interessante.
Eduardo costruì «Il sindaco del rione Sanità» su una sorta di distacco dall’azione diretta: quasi tutto ciò che accade nel corso della rappresentazione del «Sindaco del rione Sanità» accade fuori scena, e viene raccontato e commentato in scena, un po’ come accadeva nel teatro greco. Un distacco che gli serviva in un certo senso a mantenere le distanze da un personaggio che nella sua interpretazione finiva in ogni caso per essere «attraente», perché in Antonio Barracano Eduardo faceva apparire un’idea di «giustizia» anarchica e al di fuori della legge che nella sua visione profonda era ingiusta con i deboli, e quindi non era vera giustizia: e incarnare l’ambiguità di Barracano era per Eduardo una sfida e un tour de force. E chi sarebbe oggi Antonio Barracano? E che genere di giustizia potrebbe mai realizzare un post-Barracano o un Barracano-post? E a chi lancia davvero la sfida Barracano-Eduardo? Una sfida che da Eduardo si trasmette ora a Martone, ed è accresciuta dai settant’anni trascorsi dalla prima del «Sindaco del rione Sanità»: ma ben vengano le sfide nella cultura, le ibridazioni nel teatro e la circolazione di idee. Curiosi e fidenti aspettiamo il nuovo «Sindaco del rione Sanità». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino