I bracconieri ittici che vengono dall'est: pesca selvaggia di carpe nei fiumi e nei laghi abruzzesi

I bracconieri ittici che vengono dall'est: pesca selvaggia di carpe nei fiumi e nei laghi abruzzesi
Una razzia silenziosa, e in buona parte impunita, minaccia laghi e fiumi abruzzesi. E' quella che ha come preda il Cyprinus carpio, pesce d'acqua dolce conosciuto da tutti...

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Una razzia silenziosa, e in buona parte impunita, minaccia laghi e fiumi abruzzesi. E' quella che ha come preda il Cyprinus carpio, pesce d'acqua dolce conosciuto da tutti come carpa. Ad opera di squadre organizzate di bracconieri ittici provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria, dove questa specie ittica, a differenza che in Italia, è molto apprezzata e costosa, alla base di piatti tradizionali.


A lanciare l'allarme il dirigente della Guardia nazionale ambientale abruzzese Luigi Di Benedetto, pescarese, ex ispettore capo della Polizia di Stato, che coordina circa 25 volontari. Solo quest'estate con i suoi uomini ha sorpreso ben 250 pescatori di frodo sulle sponde del lago di Penne, nel cuore della Riserva, costantemente monitorata a seguito di un accordo con il Comune e l'Ente Parco. Ed è solo la punta dell'iceberg, perché spiega Di Benedetto, “presi di mira sono in particolare anche il Lago di Bomba, il fiume Pescara, nei tratti di Villanova e Rosciano, il fiume Saline, anche in tratti fortemente inquinati, e dove vige il divieto assoluto di pesca”.

Un fenomeno quello delle scorribande dei bracconieri ittici dell'Est, che riguardava fino a pochi anni fa il Nord Italia, concetrato lungo i fiumi Po e Lambro, dove si sono verificati sequestri anche superiori alla tonnellata di pescato, ma che ora evidentemente ha raggiunto anche l'Abruzzo. “I bracconieri ittici - conferma Di Benedetto - sono quasi tutti rumeni e bulgari. Arrivano qui appositamente per periodi in media di una settimana,campeggiano nei pressi dei laghi e fiumi, accendendo pericolosi fuochi. Di giorno, anche senza licenza, pescano con le normali canne. La razzia vera e propria avviene però di notte, quando utilizzano reti a strascico, reti da posta lunghe anche cento metri, e addirittura bombe carta e reti elettriche realizzate con batterie dei camion ed elettrodi immersi in acqua, che stordiscono e fulminano i pesci, non solo le carpe che a loro interessano. Metodi barbari, ovviamente vietati, che devastano il fragile ecosistema fluviale e la sua biodiversità”.


Man mano conservano il pescato nei freezer e ottenuto il quantitativo ottimale lo trasportano in furgone nel loro Paese, dove viene venduto a non meno di 4 euro al chilo. Tenuto conto che una sola carpa può superare anche i 40 chili, il business è assicurato. Le Guardie nazionali ambientali, assieme a Carabinieri forestali, Guardia di Finanza e Polizia Provinciale, fanno il possibile per contrastare il fenomeno. Il problema però riguarda anche l'inadeguatezza degli strumenti normativi. “Il reato di cui parliamo – spiega infatti Di Benedetto - è amministrativo, quello che possiamo fare è sequestrare le attrezzature e il pescato, ributtandolo in acqua se ancora vivo, ed elevare una multa che può arrivare a circa 2.600 euro. Il problema però è queste persone tornano nel loro Paese, le multe non le pagano, ed è estremamente difficile costringerli a farlo. Sarebbe intanto opportuna una legge ad hoc che trasformi il reato da amministrativo a penale”. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino