Costanzo, Chessa: «Diventai giornalista con lui nel '69 a “Buon Pomeriggio”, il primo rotocalco radiofonico»

Il ricordo del giornalista: «Fu così che conobbi Maurizio. Era lui il conduttore che avrebbe guidato la truppa un po’ raccogliticcia insieme a Dina Luce, la vera star della radiofonia dell’epoca»

Costanzo, Chessa: «Diventai giornalista con lui nel '69 a “Buon Pomeriggio”, il primo rotocalco radiofonico»
Correva l’anno... Credo i primi giorni del 1970. Anzi no. Tutto comincia nelle ultime settimane del 1969. Un gruppo di giovanotti di belle speranze si ritrova nei corridoi...

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Correva l’anno... Credo i primi giorni del 1970. Anzi no. Tutto comincia nelle ultime settimane del 1969. Un gruppo di giovanotti di belle speranze si ritrova nei corridoi dei programmi culturali della Radio. Sono stati scelti, non si sa bene in base a quali criteri, come nucleo di una piccola redazione che doveva fare da supporto ad una trasmissione radiofonica di cui si sapeva solo il nome: Buon Pomeriggio. Il megadirettore, Paolo Valmarana, indimenticato critico cinematografico, ci spiegò che si trattava del primo rotocalco radiofonico. Non capivo cosa volesse significare. Fu così che conobbi Maurizio Costanzo. Era lui il conduttore giornalista che avrebbe guidato la truppa un po’ raccogliticcia insieme a Dina Luce, la vera star della radiofonia dell’epoca.

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Maurizio spiegò subito sornione che si trattava di una specie di settimanale, un po’ Panorama e un po’ Oggi, che invece di essere stampato e venduto in edicola veniva parlato via etere ogni giorno fra le due e le quattro di ogni pomeriggio, da qui il titolo, subito dopo il Giornale Radio. È così che ho cominciato a fare il giornalista. A dire il vero, quando aveva lasciato la Sardegna, la provincia di Alghero per la metropoli Roma, il mio sogno era di lavorare per l’Espresso. Per il momento però potevo contare solo sulla stesura delle voci storiche della P.E.P (Piccola enciclopedia popolare) una specie di Wikipedia radiofonica. Quel giorno la chiamata di Costanzo mi sembrò una svolta. La Radio di Paolo Valmarana, grande intellettuale, critico cinematografico di prestigio, era sul punto di diventare un riferimento culturale in un Paese ancora un po’ provinciale, un po’ bigotto che stentava a trovare sé stesso. Mi feci l’idea che “Buon Pomeriggio” fosse un giusto modo per cercare quell’Italia che aveva appena trovato la strada della modernità.

Non eravamo soli. La mattina andava in onda “Chiamate Roma 3131”, che aveva inventato il colloquio con gli ascoltatori. Subito dopo c’era già “Per voi giovani” inventata da Renzo Arbore che presto insieme a Gianni Boncompagni avrebbe creato il capolavoro di “Alto Gradimento”. Maurizio Costanzo e Dina Luce con “Buon Pomeriggio” stavano in mezzo a questo flusso continuo che via etere faceva convivere intrattenimento e informazione, musica e notizie, cronaca quotidiana e impegno civile. Costanzo ci sembrava un deus ex machina. Scoprimmo presto che aveva truccato la sua data di nascita: si aumentava gli anni per sembrare più autorevole. Guidava le riunioni come se fossimo un grande rotocalco. Il bilanciamento degli argomenti in scaletta doveva essere ogni giorno perfetto. Presentare l’ultimo successo di Nada non doveva stonare con l’intervista al ministro della salute sulla riforma sanitaria in fieri. Ricordo di aver intervistato Eugenio Montale che andò in onda fra un’inchiesta sul salario alle casalinghe e un quiz musicale un po’ stupidotto.

Non si sbaglia a pensare che tutto l’immaginario giornalistico di Costanzo si sia formato in quegli anni: “Buon Pomeriggio” fu il suo prototipo. Tutte le grandi idee televisive di Maurizio Costanzo, da “Bontà Loro” al “Costanzo Show”, le ho viste nascere in vitro in quei pochi anni in cui abbiamo lavorato per “Buon Pomeriggio”. Una scuola di giornalismo che non ho mai dimenticato: fatta di sintesi e disincanto con un solo scopo: saper raccontare per farsi capire. Costanzo era solito inchiodare l’incauto che nel fare una proposta superasse il limite delle parole necessarie per spiegarla: con il suo romano sardonico, incalzava il malcapitato: «Fammi un appunto che me lo leggo stasera a casa». Fra le tante cose che mi sono rimaste di quei primi passi nel giornalismo fu la scoperta di Piero Angela. Allora era uno dei giornalisti tivù del nuovo tg delle Tredici. Costanzo ne intuì subito il potenziale culturale. Presto Angela ci svelò le sue doti di divulgatore che osava avventurarsi in territori sconosciuti più entusiasmanti di qualsiasi racconto di fantascienza. Diventò un ospite fisso.

Qualche decennio dopo, nei pieni anni Novanta, come vicedirettore di “Panorama”, per lanciare una nuova iniziativa culturale del settimanale, fui invitato al Costanzo Show, ho provato una grande emozione quando Costanzo rievocò quei giorni nel presentarmi con una battuta: «I bimbi crescono... Ecco a voi... etc etc». Per qualche anno insieme a Flaminia Morandi, che sarebbe diventata sua moglie e poi madre dei suoi figli, Camilla e Saverio, sostituimmo in diretta Maurizio Costanzo e Dina Luce come voci conduttrici in diretta, il martedì e il giovedì. Ci fece i complimenti: mantenevamo gli alti ascolti nonostante la preferenza dei radioascoltatori, allora misurata con l’indice di gradimento, non fosse stata intaccata di un solo punto. Aveva lasciato la Rai per l’”Espresso”, alla fine del 1975. Per un po’ ci sentimmo spesso. Ci ritrovammo poi a Milano, quando il suo sogno di un giornale popolare si concretizzo con la nascita dell’Occhio tabloid della Rizzoli. Quando scoppiò l’incidente della P2, e lui si confessò con Giampaolo Pansa, ricordo che si rammaricò con me in una lunga conversazione telefonica per aver dovuto, per la prima volta nella sua vita in diretta tivù, dare delle risposte invece che fare le domande! Uno dei suoi aforismi preferiti mi sembra la giusta chiusa di questo sconsolato memoir : il resto è vita.

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Il Mattino